Vecchiaia: un periodo da ridefinire

Ancora oggi l’età di inizio della vecchiaia è fissata a 65 anni. Prima però questa età si riferiva alla riduzione della capacità lavorativa, in relazione al lavoro manuale. Ora il cambiamento di abitudini e di stili e lo stesso allungamento della vita implicano una rivisitazione del concetto  di vecchiaia e dei suoi limiti anagrafici e richiedono contemporaneamente il superamento di un’ ottica puramente fisiologica della vecchiaia.

 I cosiddetti avanti con gli anni di oggi sono molto diversi da quelli di dieci anni fa, infatti ora la maggior parte degli over 60 è in buona salute ed è autosufficiente e molti sanno anche usare il computer.

A queste riflessioni si deve aggiungere la constatazione che l’istituto della pensione offre, a differenza del passato, una vasta gamma di opportunità e di godersi il tempo libero.

Quello che oggi si presenta perciò non è più il quadro dei “vecchi” di cinquanta anni fa, ma di persone che hanno ancora un’ interessante prospettiva di vita.
Perciò il cambiamento di vita impone una rivisitazione del termine vecchiaia.
Le parole inoltre hanno non solo un significato, ma hanno anche un valore evocativo, nella misura in cui generano quelle emozioni negative o positive, a cui esse si accompagnano per l’accezione che hanno assunto nella storia e nella cultura sociale.

Di conseguenza la rivisitazione della parola vecchiaia presuppone in primis una revisione del termine e dei suoi significati simbolici, visto che l’idea che evoca la parola vecchiaia non corrisponde alla realtà odierna.

Le connotazioni di “terza” e di “quarta età” invece mi sembra che definiscano bene una fase della vita, che segue quelle precedenti dell’infanzia e dell’adolescenza e quella dell’adulto.

Nel concetto di progressione che queste espressioni evocano sono impliciti da una parte il logoramento organico, dovuto dagli anni, ma dall’ altra l’esperienza derivante dal vissuto, la libertà dagli impegni prefissati, la saggezza, che deriva da una maggiore esperienza di vita.