“Milano 1943”  di Salvatore Quasimodo

Milano 1943  di Salvatore Quasimodo fa parte della raccolta Giorno dopo giorno (1947). E’ una toccante descrizione del dolore  dei sopravvissuti alla bomba che ha colpito la città di Milano durante la Seconda  Guerra Mondiale.

1..  Invano cerchi tra la polvere,
2..  povera mano, la città è morta.
3..  È morta: s’è udito l’ultimo rombo
4..  sul cuore del naviglio. E l’usignolo
5..  è caduto dall’antenna, alta sul convento,
6..  dove cantava prima del tramonto.
7.. Non scavate pozzi nei cortili:
8.. i vivi non hanno più sete.
9.. Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
10 lasciateli nella terra delle loro case:
11 la città è morta, è morta.

In Milano 1943  i versi sono liberi e sono poche le figure retoriche: la sineddoche (vv. 1 e 2: polverepovera mano), la metafora (l’usignolo, v. 4, simboleggia la vita;  il cuore del Naviglio  rappresenta il centro della città), l’anafora (vv. 3 e 5: È… / è…; vv. 7 e 9: Non… / Non…) e l’anadiplosi cioè la ripetizione della parola che si vuol mettere in evidenza (v. 11, è morta, è morta).

La poesia si apre con l’ammonimento che il poeta rivolge ad un superstite sull’inutilità di ricercare tra le macerie qualcuno o qualcosa, perché ormai la città è morta. Tutto è morto, anche l’usignolo che cantava dall’antenna, alta sul convento, su quel convento, di cui,  la bomba, che non fa distinzioni,  ha profanato la sacralità.

I superstiti sono affranti dal dolore e non avvertono più neppure i bisogni primari: i vivi non hanno più sete. Sono poche parole che esprimono l’impossibilità a sopravvivere al dolore profondo, causato dalle atrocità della guerra, e che avvicina gli stessi vivi alla morte.

Il senso di  impotenza  e la disperazione di chi capisce che non c’è più niente da fare sono espresse tragicamente soprattutto dal v. 7: è inutile anche seppellire i morti, dal momento che sono già sepolti sotto le macerie delle loro case.

Nel verso finale  (la città è morta, è morta) il poeta riprende la fine del v.2 e l’inizio del v.3 ( la città è morta./  È morta): è una continua ed accorata constatazione dell’’orribile distruzione, che diventa  quasi un rintocco funebre.

Tutte le immagini forti, crude, brutali confluiscono al v. 9  nel  gonfiore dei cadaveri, che fa pensare al  processo di decomposizione, e nel rosso del sangue, che, al posto del colore pallido dei morti, allude allo strazio, all’angoscia, alla disperazione.

Quei  morti, così rossi, così gonfi diventano pertanto i morti di sempre, sono tutte le vittime innocenti della follia di ogni guerra!