Giuseppe Tarditi: un combattente

A quasi due mesi dalla sua scomparsa non vogliamo attardarci nel redigere il solito necrologio, ma vogliamo ricordarlo come esempio di vita, di combattente, di chi era motivato da un  instancabile desiderio di sapere, di esplorare il nuovo, di chi non esitava a “buttare il cuore oltre l’ostacolo”.

Nei suoi ultimi giorni di vita  ha dimostrato una grande dignità nel sopportare la sofferenza, mai una volta che si sia lamentato di qualcosa. Che cosa lo sosteneva? Lo hanno sempre sorretto l’amore  per la vita, di cui ha saputo cogliere, persino  nelle disgrazie, il suo messaggio positivo, e la capacità di accettare  tutto ciò che gli capitava con un atteggiamento non di rassegnazione, ma di pacata fiducia nella vita e nel prossimo e con la volontà di prendere atto della situazione, per poi  agire di conseguenza.

Parlare di lui può essere di conforto  per la sua famiglia e per chi ha trascorso con lui un pezzo della sua vita, perché  hanno avuto un marito, un padre, un fratello, un amico, un collega eccezionale, e può essere utile, come modello di vita a cui ispirarsi, per chi non l’ha conosciuto e soprattutto per i giovani di oggi che, prima ancora di prendere in mano la loro vita, purtroppo sono già  delusi e sfiduciati.

Giuseppe si è laureato in giurisprudenza nel 1967. Dopo il militare, fece il periodo di praticantato a Savona. Ma la vita di provincia gli era troppo stretta, il suo spirito libero aveva bisogno di cieli più ampi verso i quali spiccare il suo volo.  E fu così che due aggettivi “giovanile e dinamico” che qualificavano un ambiente di lavoro, in  un annuncio apparso sul Corriere della Sera, attrirarono la sua attenzione.

Non esitò a lasciare il posto sicuro, allora tanto ambito, (un incarico a tempo indeterminato alle superiori, che gli permetteva di vivere dignitosamente e nel frattempo farsi conoscere per aprire il suo studio legale). E non esitò  a fare un salto nel buio: doveva trasferirsi a Milano, in una città in cui non avrebbe mai voluto vivere, perché un giorno, di passaggio, gli sembrò terribilmente grigia ed opprimente, e poi si trattava di lavorare nel marketing.  Ma cosa era il marketing? Giuseppe  non ne sapeva assolutamente niente! Eppure attratto da una nuova attività e da nuove possibilità di vita ed  animato  da quel  desiderio  di rinnovamento di fine anni sessanta / inizio settanta, che accomunava i giovani “di buona volontà”,  accettò il rischio del cambiamento e si avvicinò a quell’ ambiente che egli riteneva “stimolante”.

Quell’ambiente altro non era che la mitica Lever, un colosso, all’epoca, una multinazionale britannica di beni di consumo, titolare di ben 400 marchi tra i più diffusi nel campo dell’alimentazione e per l’igiene personale e della casa. Egli stesso, più volte, nel corso della sua vita, si era sorpreso che avesse potuto superare una dura selezione ed andava dicendo che al colloquio, alla domanda “perché vuole lavorare nel marketing”  non esitò a rispondere che, se gli avessero spiegato cosa fosse, avrebbe potuto rispondere. Erano gli anni in cui stava nascendo anche  in Italia questa nuova metodologia, che poi è diventata una materia di studio all’Università, e la Lever fu tra le prime società ad individuare i capisaldi e le logiche su cui si basa il marketing odierno…e Giuseppe ne fu un pioniere.

Non solo, ma egli esercitò un ruolo spesso da protagonista  in un paese che, dopo le difficoltà del dopoguerra, la povertà, la ricostruzione, grazie ai giovani,  come lui, è riuscito a cambiare rapidamente e radicalmente anche nella mentalità.

Se gli anni cinquanta e la prima metà degli anni sessanta furono anni favolosi, in cui apparvero le prime Seicento e la televisione ed erano gli anni della ripartenza dell’industria, seguirono però tempi molto difficili   per le situazioni sociali, le stragi e gli attentati. Il 12 dicembre 1969 fu una giornata tragica non solo per Milano, ma per tutto il paese: fu il giorno della strage di Piazza Fontana, un gravissimo attacco alla democrazia ed alla repubblica che si collocava nel contesto conflittuale della “guerra fredda”. In quegli anni la cosiddetta “cortina di ferro” divideva l’Europa occidentale da quella orientale, che era  sotto il controllo di Mosca.

Nel nostro paese, osservato speciale  per la posizione centrale nel mediterraneo e per essere terra di frontiera con i Paesi della “cortina di ferro”, si alimentò una crescente tensione politica che sfociò anche in forme di terrorismo a destra e sinistra. Nell’assetto politico italiano, caratterizzato dalla presenza del più forte Partito Comunista nel mondo occidentale ed in forte crescita proprio in quegli anni, Giuseppe, animato dallo spirito di fraternità e convinto sostenitore dei diritti inviolabili della persona umana e di ogni libertà civile e politica, non esitò a schierarsi a favore della giovane Democrazia Cristiana, anche se questa scelta gli procurò degli avversari persino in ambito di lavoro.

Egli, come rappresentante sindacale,  cercò sempre di difendere i diritti umani nelle assemblee, che si svolgevano nel posto di lavoro, ma anche non esitò, a suo rischio e pericolo, a schierarsi contro il “potente” sindacato, allora di matrice di sinistra,  quando non ne coindivideva le scelte e quando era necessario difendere  l’iniziativa personale contro il concetto per cui l’individuo, come parte  di una comunità, aveva  dei doveri nei suoi confronti.

E’ grazie a giovani, come Giuseppe, che in quegli anni difficili hanno lavorato e si sono battuti, sorretti da forti ideali di giustizia, di libertà, di solidarietà, se poi la società ha potuto godere di un  costante progresso nel mondo del lavoro, dei costumi e della tecnologia.

Il suo interesse per la giustizia, lo portò ad accettare, una volta in pensione, l’incarico di Giudice Onorario a Desio,  nella sede distaccata del tribunale di Monza. Lì si diede da fare  non solo per cercare di  smaltire le pratiche, accumulate negli anni, ma soprattutto perché  la legge fosse sempre applicata in modo corretto.

Dopo qualche anno, però, Giuseppe  preferì tornare all’Avvocatura (nel frattempo era diventato anche Avvocato Cassazionista), perché riteneva che in quel ruolo potesse meglio proteggere i diritti delle fasce più deboli, di cui spesso assumeva la difesa anche gratuitamente.

Come in azienda, dove, grazie al suo talento ed impegno, arrivò a ricoprire importanti cariche a livello dirigenziale, antepose sempre al profitto ed alla sua carriera  il benessere e la crescita professionale dei suoi collaboratori, così poi, in pensione, non esitò ad essere  paladino della giustizia, sia schierandosi dalla parte dei “giusti”, sia scrivendo articoli anche contro gli abusi nell’ambito giudiziario.

Di grande cultura, studioso appassionato, ecclettico e profondo conoscitore nei vari ambiti del sapere, Giuseppe riusciva tranquillamente a dialogare di vari argomenti e con cognizione di causa. Le sue passioni più grandi, comunque, che ha sempre condiviso anche con la moglie,  furono la letteratura e l’arte, di cui si occupò in tutta la sua vita. I suoi libri più importanti, Es e superego in Giacomo Leopardi. scritto nel 2012, edito da Aracne, ed Insoliti percorsi d’arte,  che peraltro contiene una stupenda Prefazione di Vittorio Sgarbi, edito da Mimesis nel 2023, raccolgono le sue riflessioni, ritenute dai più  molto approfondite, circostanziate ed innovative.

Da alcune pagine di quest’ultimo libro, uscito nelle librerie, ironicamente, il giorno prima della sua inaspettata morte, avvenuta il 20 maggio 2023, emergono alcuni aspetti della sua visione della vita.

Egli diceva che l’uomo è in Croce, ma con questa espressione non voleva alludere ad una visione negativa della vita, quanto all’essenza dell’uomo, scisso  tra le varie contraddizioni, che albergano nell’animo di ciascuno di noi. Ne sono un esempio le antitesi tra l’essere individuo, come entità unica, in quanto singolo, e l’essere un segmento, una parte del tutto,  tra l’essere ed il divenire, tra la ragione ed il sentimento, tra il volere ed il sentire, tra l’” odi et amo”. Queste opposizioni, come egli diceva,  creano uno stato di tensione e di incertezza con cui facciamo fatica a convivere, perché in noi prevale il bisogno di cercare continuamente un equilibrio,  un punto di coincidenza fra gli opposti.

Simbolo di questa coincidenza è per Giuseppe la Croce nel punto in cui si incontrano i suoi bracci ed in cui, quindi, sono  in contatto l’alto ed il basso, cioè il cielo e la terra, ed anche  ovest ed est. Basandosi proprio su questo assunto egli poi cercò di capire meglio l’animo umano e di dare un senso all’ esistenza.

Giuseppe fu un uomo di grande fede, amante della vita, innamorato della bellezza della natura, appassionato di viaggi, che intraprese sempre, non solo per ricercare luoghi diversi dal nostro, ma anche alla ricerca di un  se stesso, che, per definirsi, ha bisogno dell’incontro con l’altro, diverso da sé.  Il suo credo religioso, lungi dai rituali, si è manifestato soprattutto nella prassi quotidiana, nell’ amore  profondo per la famiglia, nell’amicizia sincera e disinteressata, nel grande rispetto verso il prossimo, in cui ha riposto sempre la massima fiducia.