“La cattedrale di Rouen” di Monet

Il ciclo della Cattedrale di Rouen di Monet è costituito da vari dipinti con oggetto la Cattedrale.
Monet ne dipinse la facciata  nei diversi orari del giorno e dell’anno, sottolineando le differenze cromatiche tra le varie condizioni atmosferiche.

Immagine presa da Wikipedia

Nella storia dell’impressionismo la serie della “Cattedrale di Rouen” è quella in cui è evidente più che mai la vera ossessione di Monet,  per l’osservazione del dato reale nei vari momenti della giornata.
Per avere un punto di vista privilegiato Monet affittò una camera d’albergo di fronte alla cattedrale e passò mesi (dal 1892 al 1894) ad osservare e dipingere. Furono fatti tanti dipinti dello stesso soggetto, ma con diversi colori e sfumature, a seconda dell’ora del giorno e del tempo meteorologico: mattina presto, mezzogiorno, tramonto oppure sole, pioggia, nebbia, neve, ecc.
Per la Cattedrale di Rouen Monet impiega una tecnica completamente nuova. 

Mentre in passato aveva applicato il colore, frizionandolo in piccole macchie, ora sovrappone le pennellate, in modo tale da formare uno spesso strato crostoso. Da vicino le tele appaiono granulose, un miscuglio incoerente di colori, ma, se ci si allontana, la composizione prende corpo, precisandosi nei particolari.
Monet rischiò di impazzire nel tentativo vano di riprodurre a distanza di giorni la stessa luce, la stessa impressione che aveva avuto giorni prima: una vera ossessione.

Chiaramente l’oggetto non ha importanza in queste tele: la bellissima cattedrale gotica di Rouen, col suo portale strombato ed il grande rosone, coi pinnacoli svettanti interessa a Monet solo nella misura in cui cavità e sporgenze catturano e rimandano la luce in modi diversi.
Ma in questo sta il limite del ciclo della Cattedrale di Rouen di Monet. Manca la sintesi creativa che rende l’attimo universale ed eterno. Manca quindi nelle varie versioni della Cattedrale l’ individualità, l’uni-versale concreto, manca cioè la capacità di fermare l’attimo. 

La ricerca dell’ essenza dell’oggetto si parcellizza in una serie di impressioni soggettive di Monet, che cambiano secondo il tempo e la luce.
Neppure Monet era soddisfatto di questo lavoro.
Scriveva infatti : “quanto più vedo tanto più vado male nel rendere ciò che sento; e mi dico che chi dice di avere finito una tela è un tremendo orgoglioso. […] Lavoro a forza senza avanzare, cercando, brancolando, senza arrivare a un granché, ma al punto di esserne stremato”.
Monet sente che non riesce a cogliere lo spirito unitario, l’anima della cattedrale di Rouen e si rende conto che l’analisi eccessiva della realtà relativizza, seziona ed offusca “ciò che sente”.

Il ciclo della cattedrale di Rouen è una grande opera di maestria tecnica, forse addirittura un manifesto implicito dell’impressionismo, che però è espressione del relativismo, che appartiene al mondo della ragione.

L’ Arte però non è relativismo, l’ Arte tende all’ Assoluto

Avrebbe voluto trovare l’assoluto della cattedrale di Rouen: ecco perché la chiesa diventa un’ ossessione per Monet e perché l’artista non può essere soddisfatto dalle cinquanta e più varianti. Ne sarebbe bastata una: quella che accomuna lo Spirito di Monet con l’anima della Cattedrale.
Nessuna meraviglia che Duchamp, parlando di lui, coniò il termine “pittura retinica”, ossia ottica, puramente visiva. Non ci sorprende  che anche Cezanne dicesse di Monet: “non è che un occhio, ma buon Dio! Che occhio!”

Nella Cattedrale di Rouen la tecnica è quasi fine a se stessa e l’impressionismo per l’impressionismo non funziona da mezzo per permettere a Monet di “rendere ciò che sente”.

Giuseppe Tarditi