“I Prigioni” di Michelangelo: analisi iconologica

I Prigioni di Michelangelo sono un gruppo di sei statue eseguite per la tomba di Giulio II.

Immagine presa da Wikipedia

Due Prigioni, databili 1513, sono pressoché completati, ( Prigione Ribelle e Prigione morente, di cui abbiamo postato l’immagine) e sono finiti a Lione , tramite Roberto Strozzi, a cui erano stati donati da Michelangelo, quando egli, esiliato da Firenze, riparò in Francia. Con la rivoluzione i due Prigioni di Michelangelo furono incamerati dallo Stato e finirono al Louvre . Gli altri quattro, Prigione giovane, Prigione barbuto, Atlante, Prigione che si ridesta, databili 1525-1530, sono incompleti e sono conservati nella Galleria dell’Accademia a Firenze, accanto al David di Michelangelo.
Questi ultimi , detti Prigioni fiorentini, (perché conservati all’ Accademia di Firenze) rappresentano , proprio in quanto non finiti, la vera essenza dei Prigioni: la lotta della forma contro la materia, dell’ individuum che cerca di emergere dall’ informe.

Il significato iconologico dei Prigioni di Michelangelo era probabilmente legato al motivo dei Captivi nell’arte romana; infatti Vasari identificò “I Prigioni” come personificazioni delle province controllate da Giulio II. Per Condivi invece avrebbero simboleggiato le Arti rese “prigioniere” dopo la morte di Giulio II.
A livello più profondo si può pensare al predominio della civiltà ( delle Arti e delle Istituzioni, che trovano un rappresentante emblematico in Giulio II) sulla forza bruta, dell’uomo sulla materia: lo sforzo dell’Umanesimo, aiutato dal potere illuminato, per emergere dalla barbarie.

In tal senso “I Prigioni” sono un po’ l’emblema della filosofia scultorea di Michelangelo, una sorta di arte maieutica (che si rifà a Socrate ed a Platone), per portare alla luce l’Idea che vedeva già nel masso, liberandola dalla materia. Ne “I Prigioni” questo processo è dimostrato in fieri, in tutta la sua drammaticità (drama=azione ).
“I Prigioni” di Michelangelo infatti non sono tanto un’ esaltazione della vittoria, quanto della lotta tra l’uomo e la materia, lotta che ha tormentato la vita di Michelangelo, e della titanica fatica che deve fare l’uomo per liberarsi dal peso della materialità.
Ciò nonostante in Michelangelo c’è anche un profondo rispetto della materia che è compenetrata nell’ uomo, dal momento che siamo sia materia che spirito, cioè una cosa sola che vive insieme. “I Prigioni” difatti sono materia e forma insieme, forza bruta e Umanesimo che vivono e si dibattono insieme in un unicum, di cui Michelangelo si sentiva partecipe.

La vittoria è ovviamente implicita in questa lotta, perché la forma emerge e si fa strada, anche se forse nella vita predomina la lotta e solo dopo la morte ci sarà la liberazione dello spirito e dell’arte dalla materia. I vari gradi di finitura o di in-finitura dei Prigioni rappresentano diversi momenti dell’esaltazione di questo sforzo; non a caso il Prigione più vicino alla completezza della forma è quello più vicino alla morte: “Il Prigione morente” , conservato al Louvre, in cui la liberazione dalla materia è quasi completata.

Per questo forse “I Prigioni” di Michelangelo erano destinati ad un monumento che celebra la morte, o meglio, che inneggia alla sopravvivenza alla morte dell’individuo (Giulio II) e di quello che rappresenta, Arte e civiltà.

Giuseppe Tarditi