Aggregazione fra le banche italiane

In tutti i Paesi europei si è instaurato un progressivo processo di aggregazione fra le banche, basti pensare che Olanda, Belgio, Francia, Regno Unito hanno un grado di concentrazione estremamente elevato con una market share per punti di vendita diretti (ad eccezione dei canali online e telefonico) delle rispettive prime 5 banche del sistema pari al 75% od anche superiore.

La peculiarità discriminante del caso delle banche italiane deriva dal fatto che tale processo ha subito un’accelerazione improvvisa negli ultimi anni, partendo da una frammentazione estrema, tipica italiana, dovuta alla presenza di numerose banche locali, di dimensione regionale, nate da iniziative bottom-up.
Numerose evidenze empiriche dimostrano una forte correlazione fra il livello di concentrazione del mercato, inteso come area geopolitica servita, a livello di singola nazione, e redditività rappresentata come media del Return On Equity dei vari players fra le banche sul mercato.
Fra le varie spinte che hanno innescato il processo bisogna sicuramente dare rilievo al seguente fenomeno: una maggiore dimensione delle banche permette di sfruttare meglio le economie di scala, che sono rilevanti nel comparto delle banche, in quanto, stante un’elevata incidenza dei costi fissi, i costi medi di lungo periodo diminuiscono al crescere dei volumi.
Ovviamente ciò è tanto più importante quanto più le banche sono lontane dalla cosiddetta dimensione ottima minima, come del resto è ragionevole ritenere per il caso italiano, in quanto il beneficio marginale raggiungibile cresce a tassi di incremento via via sempre maggiori.
I costi fissi per le banche sono rappresentati in primis dalle immobilizzazioni dovute al network di filiali ed alle conseguenti attività di manutenzione della rete stessa delle banche, gli investimenti IT e sistemi informativi e le spese amministrative.
La velocità con cui sta avvenendo questo consolidamento è dovuta essenzialmente a 2 fattori fra loro complementari:

1) l’ingresso sul mercato italiano di banche straniere molto efficienti e di grandi dimensioni disposte ad acquisire gli incumbent minori (un esempio paradigmatico è l’acquisizione di BNL da parte di BNP Paribas)

2) la necessità di sfruttare economie di scala e di gamma (quest’ultime estremamente rilevanti in tutti i settori, come le banche, in cui prodotti/servizi differenti vengono veicolati al cliente mediante un unico network sinergico) in modo da poter competere, in termini di costo, con i grandi gruppi, in particolare Intesa San Paolo e Unicredit, che insieme hanno oltre un terzo del totale degli sportelli di banche in Italia.

Il processo di consolidamento fra banche è, quindi, da ascrivere all’ effetto congiunto dei due fenomeni citati, ossia alla necessità di competere sui differenziali competitivi di costo, stante l’entrata di nuovi players sul mercato domestico ed una maggiore dimensione delle banche presenti nella stessa arena competitiva.
Tutto ciò consente alle banche stesse recuperi di efficienza gestionale e produttiva, derivanti da un avvicinamento alla dimensione ottima minima e conseguentemente la possibilità di incorporare un maggiore beneficio marginale, generato dallo sfruttamento delle economie di scala.
Per fronteggiare l’ingresso di banche new comers stranieri la Banca d’Italia stessa, mediante diverse dichiarazioni alla stampa economica, è stata promotrice del processo di aggregazione fra le banche minori, per impedire che diventassero takeover candidate.
Gli scenari futuri sembrano ormai delineati: il prossimo step sarà presumibilmente l’avvio di un processo di aggregazione fra banche a livello transnazionale e molto probabilmente le banche che sceglieranno di optare per la situazione stand alone saranno destinate a concedere ai competitors, di dimensioni maggiori, mercati e clienti in misura crescente nel tempo e/o dovranno specializzarsi in segmenti, nicchie, di mercato per poter sopravvivere.

Eros Tarditi