Risarcimento danni derivanti da atti amministrativi

Sul risarcimento dei danni derivanti da atti amministrativi è dovuta intervenire la Corte Costituzionale per dirimere un contrasto tra sentenze.

Consiglio di Stato  Adunanza plenaria Sentenza 22 ottobre 2007, n. 12: affermazione della pregiudizialità dell’annullamento dell’atto rispetto al risarcimento del danno

MOTIVI DELLA DECISIONE

 …….Omissis
 
III – Si rileva, venendo perciò al punto di diritto in contestazione, che permangono, nella giurisprudenza più recente, significativi contrasti in tema di discriminazione della giurisdizione, contrasti forse avvertiti con maggior disagio di quelli pur vivi nel secolo scorso ora che sussistono condizioni di ulteriore sviluppo sociale ed economico, di correlato aumento della legislazione e delle discipline così civili come amministrative e, perciò, di più forte richiesta di decisioni di merito pronte, facilmente accessibili, coerenti con le esigenze operative e con le aspettative di tutela delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e di ciascun componente la comunità nazionale.

I recenti, ripetuti richiami della Corte Costituzionale (v. da ultimo, sent. 12 marzo 2007, n. 77) ai precetti dell’art. 24 Cost. confermano un orientamento perseguito con ancor più determinata convinzione; orientamento che, sottolineando il valore servente delle forme, pur ferme e vincolanti, rispetto alle aspettative sostanziali, merita di essere condiviso e seguito, come pare sia condiviso dallo stesso legislatore ( cfr., di recente, in tema di giurisdizione e di procedure, la L. 21 luglio 2000, n. 205 e, puntualmente in tema di nullità, la L. 7 agosto 1990, n. 191 ) le cui rinnovate dichiarazioni di volontà semplificatrice si traducono tuttavia, in qualche caso, in complicazioni di discipline di non sottile spessore e di non agevole applicazione da parte di una Amministrazione costretta a troppo frequenti mutamenti dei suoi complessi moduli organizzativi ed operativi ed a tal fine, specie in sede locale, non sempre munita di necessari mezzi e di adeguate strutture.

In generale, ed omettendo analisi storiche altrove e da altri svolte con puntualità e completezza, la discriminazione è positivamente fissata, nel quadro dei rigidi precetti posti dagli artt. 24, 102,103, 111 e 113 Cost., dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, – in vigore dal 1 agosto 2000 e seguita dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15 e dal D.Lg.vo 12 aprile 2006, n. 163 – , che, anche riformulando le disposizioni del D.Lg.vo 31 marzo 1998, n. 80, ha sostanzialmente definito il disegno innovatore avviato con l’art. 13 della L. 19 febbraio 1992, n. 142 ed organicamente posto dalla legge di delega 15 marzo 1997, n. 59.

Su questa disciplina è ripetutamente intervenuta e, per quanto qui rileva, specialmente con le sentenze 17 luglio 2000, n. 292, 6 luglio 2004, n. 204, 28 luglio 2004, n. 281, 11 maggio 2006, n. 191, 12 marzo 2007, n. 77 e 27 aprile 2007, n. 140, la Corte Costituzionale.

Punti fondamentali dell’assetto normativo che ne è derivato e che, salvo le integrazioni e le precisazioni appresso indicate, vige attualmente sono:

1) resta fermo, e vincola lo stesso legislatore, che criterio generale di discriminazione è quello fondato sulla natura della situazione giuridica di cui si chiede tutela, nel senso che giudice dei diritti soggettivi è il giudice ordinario e giudice degli interessi legittimi è il giudice amministrativo;

2) resta fermo che è nella, per così dire, ragionevole discrezionalità del legislatore attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in particolari materie (e non in blocchi indiscriminati di materie) specialmente caratterizzate dalla compresenza o dalla difficile qualificazione di diritti soggettivi ed interessi legittimi, anche la tutela di diritti soggettivi;

3) il giudice amministrativo conosce, nell’ambito della sua giurisdizione, sia essa di sola legittimità ovvero, pur con differente dizione, esclusiva, ” anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali conseguenziali ” ;

4) il giudice ordinario, cui non spetta mai giurisdizione sugli interessi legittimi, non ha il potere di annullare i provvedimenti amministrativi né quello di risarcire il danno conseguente all’annullamento degli stessi da parte del giudice amministrativo, e tuttavia, vertendosi in tema di lesione dei diritti soggettivi non ricompresi nella cennata giurisdizione esclusiva, può disapplicare gli atti dell’amministrazione e provvedere al risarcimento dell’eventuale danno.

IV – Con riferimento al nuovo assetto così sommariamente descritto si sono riproposti alla giurisprudenza spinosi problemi interpretativi già vivi nel quadro della precedente disciplina ed ulteriori questioni sostanziali e procedurali ha posto l’ampliamento della giurisdizione esclusiva e dei poteri del giudice amministrativo.

Deve ricordarsi, al primo proposito, il permanere dalle difficoltà di discriminazione poste dalla dicotomia diritto soggettivo – interesse legittimo nell’ambito di una legislazione che dalla considerazione della loro natura il più delle volte prescinde preferendo enucleare dalle situazioni soggettive e disciplinare puntualmente, con riferimento alla attività amministrativa, tal volta spezzoni qualificabili come facoltà, più spesso aspetti analitici solo mediatamente riferibili ad individuabili situazioni di diritto o di interesse.

Si tratta, nell’uno e nell’altro caso, di situazioni mai direttamente definite dalla legge e di derivazione dottrinale e giurisprudenziale spesso collegate ad esigenze di preconcetti ed immobili schemi sistematici piuttosto che ad ordinamenti e norme i quali supporrebbero, nel loro continuo aggiornarsi, il continuo aggiornamento di un ” sistema ” che, dismessa la pretesa di imporsi alla legge, da questa ricevesse la sua necessaria legittimazione.

Il dibattito, in proposito, è continuo e basti segnalare, di recente, la distinzione proposta dalla Corte di Cassazione (Sez. un. 1 agosto 2006, n. 17461) che rivendica la giurisdizione del giudice ordinario in ogni caso quando si sia in presenza di ” posizioni soggettive a nucleo rigido ” (es. in tema di salute e di ambiente ) che, a differenza di quelle ” a nucleo variabile “, sarebbero assolutamente incomprimibili. Siffatta tesi, espressamente contraddetta dalla Corte Costituzionale (sent. 27 aprile 2007, n. 140), reca in se il corollario della inesistenza del provvedimento amministrativo che, pur emesso in applicazione di legge, siffatti incomprimibili diritti in concreto incidesse.

Corollario che sembra meritare attenti approfondimenti nel punto in cui pare prescindere e dalle attribuzioni esclusive della Corte Costituzionale in tema di verifica della costituzionalità delle leggi e dalle attribuzioni del giudice amministrativo in tema di provvedimenti che conformemente a legge incidono su situazioni soggettive degradandole, come si è soliti ripetere, ad interesse legittimo.

Riconosciuta a quest’ultimo giudice, com’è doveroso per chiunque, “piena dignità di giudice” e tenuto conto della compiuta effettività della sua tutela, organizzata positivamente come efficace e sollecita, non si vede la ragione perché le regole di discriminazione della giurisdizione debbano essere, a fronte dei diritti c.d. “a nucleo rigido”, di categoria, cioè, suscettibile di estensione ben oltre i casi esemplificati, né si comprende la sottesa, asserita pretesa di una minore incisività della giurisdizione amministrativa.

Di tale opinione non è, per altro, lo stesso legislatore che, in maniera espressa ed univoca, ipotizza, con l’art. 21 co. 8 della L. 1034/71, come integrato dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, provvedimenti cautelari del giudice amministrativo anche in tema di “interessi essenziali della persona quali il diritto alla salute, alla integrità dell’ambiente, ovvero ad altri beni di primario rilievo costituzionale”.

E’ ben vero che allo stato si riscontra positivamente in relazione a talune situazioni soggettive del genere di quelle indicate e di altre ancora una ordinaria e prevalente giurisdizione del giudice civile che in nessun modo si contesta; epperò, mentre non può escludersi che in astratto ed in concreto si profilino situazioni di interesse legittimo ovvero di attribuzione di giurisdizione esclusiva, è seriamente controvertibile una tesi che, muovendo dalla categoria dei diritti soggettivi incomprimibili e varcando la soglia della sola descrittività, sancisca aprioristicamente limiti assoluti e non costituzionalmente posti alla giurisdizione amministrativa.

Ai fini della concreta verificazione di questa è necessario poi ribadire che configurano situazioni soggettive di interesse legittimo non solo quelle che come tali originariamente nascono in capo al loro titolare sibbene anche quelle che pur qualificandosi genericamente ed in astratto di diritto soggettivo siano, in presenza di una norma che ciò consenta e di un procedimento ovvero di un provvedimento in tal senso indirizzato, successivamente apprezzabili in concreto come di interesse legittimo. Certo è necessario che procedimento e provvedimento siano svolti e decisi da un’autorità a ciò competente, senza che concorrano violazioni di legge, senza che intervengano sviamenti e note carenze. Questi, tuttavia, sono puntualmente i vizi rimessi allo scrutinio della giurisdizione amministrativa, individuabile anche in base al fondamentale criterio, appresso approfondito, della riconducibilità della lesione sofferta all’esercizio del potere autoritativo in astratto conferito all’autorità. Il criterio innovativo come innovativa è stata la citata legislazione, è per altro frutto anche del consapevole contributo di tutte le riflessioni che, in più di un secolo di elevato e fertile impegno, dottrina e giurisprudenza hanno arrecato : dalla distinzione delle norme di azione dalle norme di relazione, dalle dottrine del diritto condizionato ed affievolito fino alla stessa rilevata notazione dei c.d. diritti a “nucleo rigido ” non v’è nulla di totalmente superato ovvero di superabile con improvvisazione e in ogni riflessione si riscontra un elemento di validità che è di ausilio per sciogliere nodi che legislazione e pronunce costituzionali tendono oggi a rendere meno aggrovigliati nel contestuale riconoscimento della unitarietà, quoad effectum, della giurisdizione, attribuita sì a giudici diversi, ma di uguale dignità, muniti di analoghi poteri ugualmente compiuti ai fini della completezza delle tutele di merito loro commesse, ugualmente intesi ad attuare i precetti degli artt. 24 e 111 Cost. (cfr. Corte Cost., 12 marzo 2007, n. 77).

Questi aspetti unitari, che valgono ad attenuare, almeno nella concretezza delle vicende giudiziarie, il rilievo di talune estreme questioni di giurisdizione, non consentono, tuttavia, di inferirne il corollario, come avanti si vedrà in tema di “pregiudiziale amministrativa”, della necessità, formale e sostanziale, della uguaglianza della tutela.

V – Si sono posti, al secondo proposito, con riferimento, cioè, al nuovo assetto come sopra descritto, il problema della estensione della giurisdizione esclusiva, sia con riferimento a materie ritenute di solo diritto soggettivo sia con riferimento a precisazioni del legislatore ordinario dell’ambito di cognizione concreta del giudice amministrativo ed il problema, inoltre, della connessione tra la domanda di annullamento e la domanda risarcitoria.

Su questi ed altri problemi, approfonditi in dottrina, è ripetutamente intervenuta, con puntuali pronunce, la Corte Costituzionale che, con le sentenze innanzi citate ha precisato:

a) i confini della giurisdizione esclusiva relativa alla materia dei pubblici servizi e della giurisdizione esclusiva relativa alla materia urbanistica ed edilizia e delle espropriazioni;

b) la natura del potere del giudice amministrativo di provvedere sulle domande risarcitorie e sugli altri diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di annullamento.

Così in materia di pubblici servizi, dalla quale sono state espunte controversie ritenute di diritto soggettivo e, perciò, di pertinenza della giurisdizione ordinaria, come in materia di urbanistica ed edilizia nonché delle espropriazioni, la Corte Costituzionale, confermata la nodale relazione tra l’esercizio di poteri pubblici autoritativi e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ha segnato il limite di quest’ultima.

Ha cioè dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 33 co. 1 D.Lg.vo 31 marzo 1990, n. 80, come sostituito dall’art. 7 lett. b. della L. 21 luglio 2000, n. 205, dell’art. 34 co. 1 del medesimo decreto, nonché dell’art. 53, co. 1, del D.Lg.vo 8 giugno 2001, n. 325 (v. D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 53) nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva le controversie relative a “i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediamente, all’esercizio di un pubblico potere” (così Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191 con riferimento alla giurisdizione esclusiva in tema di espropriazione per pubblica utilità e, in precedenza, Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204).

Puntualizzato, da una parte, che l’aggettivo ” mediatamente ” si riferisce, come sopra ricordato, ai casi in cui l’esercizio del potere si realizza nelle consentite forme negoziali, e, d’altra parte, che sussiste, nelle motivazioni delle due sentenze, ancora riprese da quelle successive, un espresso legame sì che esse, integrandosi costituiscono un unico, coerente disegno nei limiti del quale la Corte ammette la legittimità costituzionale delle norme scrutinate, deve subito fissarsi un primo punto.

I “comportamenti”, cioè, che esulano dalla giurisdizione amministrativa esclusiva non sono tutti i comportamenti, ma solo quelli che, tenuto conto dei riferimenti formali e fattuali di ogni concreta fattispecie, non risultano riconducibili all’esercizio di un pubblico potere.

Altrimenti detto, quando può affermarsi che nella specie sia rilevabile un oggettivo, e non meramente intenzionale, svolgersi di un’attività amministrativa costituente esercizio di un potere astrattamente riconosciuto alla pubblica amministrazione o ai soggetti ad essa equiparati, sussiste ogni elemento sufficiente ad affermare la giurisdizione amministrativa.

Caratterizzante, perciò, non è la legittimità dell’esercizio del potere, che, se fosse richiesta, finirebbe per privare di causa la tutela appunto prevista per i casi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, né lo è il maggiore o minore spessore della illegittimità ovvero della situazione giuridica tutelata.

Caratterizzante è , invece, la mera emersione di un agire causalmente riferibile ad una funzione che per legge appartenga all’amministrazione agente e che per legge questa sia autorizzata a svolgere e che, in concreto, risulti svolta.

Se così è, l’in sé dell’esercizio del potere deve rilevarsi, prioritariamente, in materia comportamentale, non tanto dalle intenzioni e dalla generiche dichiarazioni del soggetto pubblico agente quanto dalle oggettive vicende procedimentali che, mentre nella grande maggioranza dei casi precedono ed accompagnano il fenomeno comportamentale, testimoniano esse, oggettivamente, della rilevanza e della finalità e della consistenza del comportamento consentendo di individuarne la genesi e di distinguerlo dai casi di semplice generica presupposta esistenza del pubblico interesse.

La illegittimità di questo o quel momento procedimentale , cioè di quella serie formale strumentalmente rivolta a realizzare l’interesse pubblico e sintomatica dell’agire autoritativo consentito dalla legge, può sì far concludere per la illegittimità e, nei congrui casi, per la illiceità del comportamento con effetti anche analoghi o uguali a quelli propri della accertata carenza del potere, ma tale conclusione spetta al giudice cui, con garanzie ed effettività di certo non inferiori a quelle apprestate dal giudizio ordinario, compete alla stregua dell’ordinamento: al “giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica”.

E a questo “giudice naturale” compete, in diretta applicazione dei principi di effettività e di concentrazione della tutela nonché delle norme poste dal legislatore ordinario, di conoscere non solo delle domande intese all’annullamento dell’attività autoritativa e, comunque, impugnatorie ma “di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”; risarcimento che, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, è “disposto” con procedure anche innovative (v. art. 7 e 8 L. n. 205 del 2000).

In proposito la Corte Costituzionale, chiarita la irrilevanza della natura giuridica intrinseca alla pretesa risarcitoria, se di per sé di diritto soggettivo o meno, ha escluso la configurabilità della giurisdizione ordinaria “per ciò solo che la domanda abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno” ed ha dichiarato costituzionalmente legittimo il nuovo sistema di riparto che riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi anche il potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma specifica, il danno sofferto per l’illegittimo esercizio della funzione.

Ciò in quanto il potere di risarcire il danno ingiusto non costituisce una nuova materia attribuita alla cognizione del giudice amministrativo ma uno “strumento di tutela ulteriore” rispetto a quello demolitorio, strumento che, in armonia con l’art. 24 Cost. ne completa i poteri “non soltanto per effetto della esigenza di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma anche perché quel giudice è idoneo ad offrire piena tutela” oltre che agli interessi legittimi “ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa” (Cort. cost. 27 aprile 2007, n. 140).

L’illegittimità dell’esercizio del potere, nel senso sopra precisato, comporta, dunque, sempre nel caso di lesione di interessi e, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, anche nel caso di lesioni di diritti soggettivi, di qualsiasi spessore, la configurabilità della sola giurisdizione amministrativa così nel caso che la domanda risarcitoria venga proposta congiuntamente a quella demolitoria come nel caso che venga proposta autonomamente, derivandosi anche in tal caso la risarcibilità del danno dalla ipotizzata illegittimità dell’attività amministrativa.

La Corte di Cassazione, pur convenendo su tali conclusioni generali (v. già Cass. 23 gennaio 2006, n. 1207), sottolinea ancora, non senza rimarchevoli oscillazioni, perplessità di non lieve momento.

Adducendo ora la perdurante vigenza della L. 20 marzo 1865, all. E, artt. 2 e 4, e non solo dei suoi generali principi così come costituzionalmente recepiti, ora, con non felice espressione, una asserita difficoltà del giudice amministrativo a penetrare le regole civilistiche sul risarcimento del danno ingiusto, ora la individuabilità di diritti in assoluto riservati alla tutela ordinaria, la indicata Corte :

1) limita i casi in cui si è in presenza di “un concreto esercizio del potere” ai casi in cui l’esercizio stesso sia riconoscibile come tale perché a sua volta deliberato nei modi e in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto (Sez. un. 13 giugno 2006, n. 13659) “in consonanza con le norme che lo regolano ” (Sez. un. 15 giugno 2006, n. 13911; Cass. 7 febbraio 2007, n. 2691);

2) costruisce una categoria di diritti incomprimibili in maniera assoluta e perciò sempre da comprendere nell’ambito della giurisdizione ordinaria;

3) asserisce che la giurisdizione amministrativa è rifiutata ove, in presenza di autonoma domanda risarcitoria, il giudice non provvede all’esame di merito per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l’annullamento dell’atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti. In tali circostanze avverte la Corte, il rifiuto si espone a cassazione ex art. 362, co. 1, cod. proc. civ. (Sez. un. 13 giugno 2006, n. 13659 e n. 13660; 5 gennaio 2007, n. 13; 19 gennaio 2007, n. 1139).

Si tratta, come ognuno vede, di perplessità gravi nella misura in cui sostanzialmente evocano, per via di una definizione resa fortemente restrittiva dal suo carattere analitico, la dicotomia sussistenza del potere-esercizio del potere nei termini, anch’essi ambigui, precedenti il nuovo assetto di riparto della giurisdizione; nella parte in cui confliggono con le univoche dichiarazioni della Corte Costituzionale 27 aprile 2007, n. 140 in tema di c.d. diritti incomprimibili e 12 marzo2007, n. 77 in tema di limiti, ex art. 362 e 386 cod. proc. civ., inerenti il controllo dei confini esterni della giurisdizione; nella parte in cui, varcando tali limiti, assoggetta a nuove forme di sindacato le sentenze del giudice amministrativo.

Al primo proposito si rileva che, proprio con riferimento alla materia delle espropriazioni, la Corte di Cassazione, nel suo indirizzo più radicale (v. Sez. un. 7 febbraio 2007, n. 2688, 2689, 2691; 13 febbraio 2007, n. 3048; 19 febbraio 2007, n. 3723; 12 aprile 2007, n. 9323) che sembra attenuato da altro pur recentemente confermato indirizzo (Sez. un. 20 dicembre 2006, n. 27190 e 27192), configura la giurisdizione ordinaria non solo, com’è pacifico, nei casi in cui l’amministrazione agisce, fuori di ogni schema procedimentale, in via di fatto, ma anche nei casi in cui la dichiarazione di pubblica utilità risulti “radicalmente nulla” per omessa indicazione dei termini per l’espropriazione o per scadenza degli stessi, ovvero per imprecisioni nella indicazione delle aree.

In tali casi, ed inoltre nei casi di decreto di espropriazione emesso fuori termine, rilevandosi anche violazione dell’art. 42 Cost., si sarebbe, secondo la Corte, in presenza di vizi di spessore maggiore di quelli che, in altri casi, inducendo il giudice amministrativo all’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità o del decreto di espropriazione, legittimerebbero, sia pure per sole esigenze di concentrazione, la giurisdizione amministrativa (v. Sez. un. 2 luglio 2007, n. 14594).

Ora la perplessità che tale indirizzo suscita non attiene soltanto alla identificazione di una categoria di speciali vizi che non sembra trovare conforto positivo e che anzi contrasta con le disposizioni analiticamente introdotte con l’art. 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15, ma nella sostituzione del criterio della riferibilità dell’esercizio del potere all’agire autoritativo, riferibilità che come sopra si è visto chiama in causa l’intero procedimento, con il criterio del sindacato concreto della legittimità del provvedimento della cui applicazione si tratta, che non si vede come possa tal volta competere al giudice ordinario e tal altra al giudice amministrativo.

In materia di espropriazione, poi, si prescinde del tutto – non solo dal nuovo regime della nullità introdotto, ad integrazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, dall’art. 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15 – ma anche dall’entrata in vigore, il 30 giugno 2003, del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, il cui art. 43 sembra, come si preciserà più avanti, avere apportato sul punto definitivi chiarimenti.

Dei diritti c.d. incomprimibili s’è detto.

VII – Quanto, infine, al problema della c.d. pregiudizialità amministrativa, istituto risalente nel tempo ed utilizzato di recente in tema di appalti (v. art. 13 L. 19 febbraio 1992, n. 142 e, per qualche profilo generale, Corte cost. 8 maggio 1998, n. 165), esso è estremamente complesso (v. Ad. plen. 26 marzo 2003, n. 4) e qui non pertinente se non per la sua connessione, già richiamata dalla Corte di Cassazione, con la questione della giurisdizione.

Basti, perciò, enunciarne taluni profili problematici, relativi:

– il primo, alla struttura stessa della tutela del giudice amministrativo che, come si è visto è, specialmente articolata sia in sede di giurisdizione di legittimità sia in sede di giurisdizione esclusiva, nel senso che il provvedimento amministrativo lesivo di un interesse sostanziale (e non, perciò, il mero comportamento) può essere aggredito e in via impugnatoria, per la sua demolizione, e “conseguenzialmente” in via risarcitoria, per i suoi effetti lesivi, ponendosi, nell’uno e nell’altro caso, la questione della sua legittimità.

Il carattere “conseguenziale” ed “ulteriore” della tutela risarcitoria, espressamente ed inequivocamente posto, in armonia con gli artt. 103 e 113 co. 3 Cost., dall’art. 35. co. 1 e 4 del D.Lg.vo 31 marzo 1988, n. 80 e confermato dal successivo co. 5 che comunque abroga “ogni disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario della controversie sul risarcimento del danno” ancora una volta visto come “conseguente all’annullamento di atti amministrativi”, sembra invero incontestabile.

Ed è confermato dalla ritenuta riferibilità della pronuncia di condanna all’insieme dei poteri strumentali attribuiti al giudice per rimediare compiutamente alla lesione della situazione soggettiva concettualmente, prima ancora che positivamente, unica e ciò sia che l’esercizio dei poteri del giudice sia chiesto contestualmente sia che, giudizialmente accertatasi la illegittimità, sia richiesto, per vero con condivisa interpretazione estensiva non del tutto allineata, tuttavia, con le convenienze della “contestualità”, l’esercizio di ulteriori poteri prima non sollecitati.

Non c’è traccia, nella pronunce della Corte Costituzionale di alcun sospetto di illegittimità costituzionale di siffatto disegno ed, anzi, sembra agevole inferirne il contrario.

L’istituto, per altro, autorevolmente confermato da motivate pronunce della stessa Corte di Cassazione (v. 10 gennaio 2003, n. 157; 27 marzo 2003, n. 4538; 23 gennaio 2006, n. 1207), ha, oltre a radici storiche e letterali di univoco rilievo, ragioni del pari univoche.

Deve considerarsi, in proposito, che diritto ed interesse, benché molto spesso partecipi di una assimilabile pretesa ad un c.d. bene della vita, sono situazioni soggettive fortemente differenziate e tali ritenute già a livello costituzionale.

Il primo, per dirla nei noti, riassuntivi termini, è assistito da una tutela tendenzialmente piena e diretta e, nei suoi confronti, è sempre circoscritta la eventualità di condizionamenti esterni, anche se imputabili ad una amministrazione pubblica e, perciò, ad interessi generali.

Il secondo origina da un compromesso, chiaramente solidaristico, tra le esigenze collettive di cui è portatrice, ex art. 97 e 98 Cost., la amministrazione stessa e la pretesa, di colui che dalla loro legittima soddisfazione è coinvolto, di veder preservati quei suoi beni giuridici che preesistono all’attività pubblica ovvero che nel corso di questa si profilino.

Ne deriva un coinvolgimento costante dell’interesse del singolo nell’interesse della collettività che si esprime nell’attività, non libera, ma doverosa e funzionalizzata dell’amministrazione e questo legame genetico spiega non solo la previsione di una giurisdizione a ciò specificamente deputata ma, insieme, le differenze, che rimangono marcate, che possono individuarsi e in tema di discipline processuali e in tema di connotati della tutela .

I commendevoli contributi acquisiti, in sede dottrinale e giurisprudenziale, in tema “giudizio sul rapporto”, non sembrano condivisibili ove approdino al disconoscimento della natura principalmente impugnatoria dell’azione innanzi al giudice amministrativo, cui spetta non solo di tutelare l’interesse privato ma di considerare e valutare gli interessi collettivi che con esso si confrontano e, non solo di annullare, bensì di “conformare” l’azione amministrativa affinché si realizzi un soddisfacente e legittimo equilibrio tra l’uno e gli altri interessi.

Queste essenziali circostanze, mentre si riflettono sui diversi caratteri del giudizio amministrativo rispetto a quello civile, nel quale si contrappongono pretese ascrivibili ad analoghe fonti e di regola sottratte ad interferenze esterne da parte dell’autorità pubblica, sembrano spiegare e giustificare e la priorità dell’azione impugnatoria, nel cui ambito soltanto è possibile e doveroso esercitare compiutamente l’anzidetto vaglio di legittimità nonché misurare spessore e valenza così della dedotta situazione soggettiva come della denunciata lesione, e la posta “conseguenzialità” rispetto ad essa, dell’azione risarcitoria.

Non si trascuri che il risarcimento del danno, oltre che “conseguenziale” è previsto, nell’ambito della processualmente qualificante giurisdizione di legittimità, anche come “eventuale” con un attributo, cioè, che mentre è di regola oggetto di ingiustificata pretermissione, riassume e sottopone alla consapevolezza del giudice i travagli che le relative norme hanno inteso risolvere e che, in dottrina, hanno persino indotto a configurare come “speciale” la figura in discorso.

Si ricorderà che la stessa Corte costituzionale aveva avuto modo, nel sottolineare l’urgenza di “prudenti” soluzioni normative, di ipotizzare “scelte tra misure risarcitorie, indennitarie, reintegrative in forma specifica e ripristinatorie” nonché la “delimitazione delle utilità economiche suscettibili di ristoro patrimoniale nei confronti della pubblica amministrazione” (v. ord. 8 maggio 1998, n, 165 e sent. 25 marzo 1980, n. 35) nella considerazione della inesistenza della copertura di rilievo costituzionale della pretesa “regola generale di integralità della riparazione ed equivalenza al danno cagionato” (Corte Cost. 2 novembre 1996, n. 369), con evidenti rilessi anche di natura processuale.

E’ su queste premesse che, rimasta inattuata la articolata delega di cui all’art. 20 co. 5, lett. h, della legge 15 marzo 1997, n. 59, il legislatore è, infine, pervenuto a stabilire, con formula che privilegia le ritenute esigenze di concentrazione dei giudizi, il criterio della conseguenzialità – evidentemente inteso a confermare la priorità del processo impugnatorio e in vista della prevalenza dell’interesse collettivo al pronto e risolutivo sindacato dell’agire pubblico e in vista della convenienza, per la collettività, dell’esercizio del sindacato stesso secondo criteri e modalità che, essendo positivamente propri del giudizio di annullamento, da esso non consentono di prescindere – ed il criterio della “eventualità” del risarcimento del danno arrecato all’interesse legittimo, criterio rafforzato dalla diversa prescrizione in tema di giurisdizione esclusiva e che, perciò, non solo esclude automatismi ma impone i predetti apprezzamenti specifici, possibili soltanto allorché sia in causa, siccome suo oggetto principale e diretto, il provvedimento, con le sue ragioni ed i suoi effetti.

E’ su queste premesse, perciò, che dev’essere apprezzato il vulnus che si ritiene connesso alla c.d. pregiudiziale amministrativa che, in effetti, da un lato corrisponde ad avvertite esigenze di controllo, convenientemente sollecitate dalle azioni impugnatorie, della legittimità e della trasparenza dell’azione autoritativa e, d’altra parte, consente il compiuto rilievo degli interessi collettivi e generali coinvolti, rilievo certamente monco e claudicante anche con riferimento alla giurisdizione esclusiva, pur sempre relativa anche ad interessi legittimi e a diritti “degradati”, nell’ambito di un processo di solo tipo risarcitorio, nel quale, per altro, gli interessi economici coinvolti appaiono non più rilevanti degli interessi spesso anche di libertà che si fanno valere, senza che la relativa decadenza sia motivo di censura, nel processo di annullamento.

Lo stesso soggetto leso sembra avere convenienza, a fronte dei non gravissimi disagi correlati alla previsione di decadenza, agevolmente superabili con il doveroso uso della diligenza media e certamente più ridotti rispetto a quelli che la legislazione consente o impone in altre anche se diverse materie, a sperimentare preventivamente l’azione di annullamento, nella cui procedura e nella cui finalità strumentale, gli è consentito rilevare vizi ed approfondirne lo spessore con risultati ben utili ai fini dell’accertamento compiuto dell’an e del quantum della richiesta riparazione.

Ragioni sostanziali, dunque, non meno che formali, sembrano assistere le conclusioni già raggiunte dall’Adunanza plenaria;

– il secondo, alla c.d. presunzione di legittimità, che, mentre involge radicati poteri della pubblica amministrazione e positivi caratteri dei suoi provvedimenti, come la efficacia e la esecutorietà, emergenti da una legislazione costante nel tempo, si tramuta da relativa in assoluta allorché, nel termine di decadenza, – certamente eluso in ipotesi di vanificazione della pregiudiziale – siasi omessa impugnazione ovvero finché, in presenza di discrezionale apprezzamento, non sia intervenuto annullamento d’ufficio (v. L. 11 febbraio 2005, n. 15);

– il terzo, alla articolazione della tutela sopra ricordata che, in entrambi i suoi casi, concerne la stessa illegittimità del provvedimento strumentalmente invocata, “principaliter”, e ai fini del buon esito della domanda impugnatoria e ai fini del buon esito della domanda risarcitoria con la conseguenza che, costituisca il “danno ingiusto” fatto o, come sembra preferibile, fattispecie, esso non può essere configurato a fronte di una illegittimità del provvedimento che, per l’assolutezza della cennata presunzione, è, de jure, irreclamabile;

– il quarto, alla incidenza della lamentata “decadenza” che attiene, a ben vedere, all’azione impugnatoria invece che all’azione risarcitoria, impedita, piuttosto che dalla decadenza, dalla non configurabilità, in presenza di un provvedimento inoppugnabile così come in presenza di un provvedimento inutilmente impugnato, di una sua condizione che la contraddizione legittimità-illiceità rende essenziale, la formale inesistenza, cioè, della ingiustizia del danno che è nucleo essenziale, anche se non sufficiente, della illiceità;

– il quinto, alla concreta equivalenza del giudicato che, rilevando immediatamente la inesistenza della appena ricordata condizione, dichiari la improponibilità della domanda col giudicato che, pronunciandosi, come si pretende, nel merito dichiari infondata – e questa volta con pronuncia inequivocabilmente sottratta a verifica ex art. 362 cod. proc. civ. – la domanda per difetto della denunziata illegittimità;

– il sesto, al reclamato potere regolatore della Corte di Cassazione (Sez. un., 19 gennaio 2007, n. 1139; 4 gennaio 2007, n. 13) che, secondo il correlato avvertimento della Corte Costituzionale (sent. 12 marzo 2007, n. 77), “con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, comma ottavo, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte di Conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione”. Ad analogo principio, prosegue la Corte Costituzionale “si ispira l’art. 386 cod. proc. civ. applicabile anche ai ricorsi proposti a norma dell’art. 362, comma primo cod. proc. civ., disponendo che “la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda”;

– il settimo, ma non ultimo, relativo alla correlata verifica degli eventuali limiti dell’indirizzo della Corte di Cassazione secondo cui la inoppugnabilità dell’atto amministrativo, siccome relativa agli interessi legittimi, non impedirebbe in nessun caso al giudice ordinario di disapplicarlo (v. Cass. 9 maggio 2006, n. 10628 e Cass. 26 maggio 2006, n. 12646).

VIII – Quanto si è fin qui considerato consente di confermare l’attualità degli indirizzi già assunti dall’Adunanza plenaria con riferimento alla questione da decidere, in merito alla quale la giurisdizione amministrativa è affermata anche dalle Sezioni unite (v., da ultimo, 2 luglio 2007, n. 14954).

Già con pronuncia 30 agosto 2005, n. 4 l’Adunanza plenaria ha posto il principio secondo cui deve configurarsi la giurisdizione amministrativa in ordine a “liti che abbiano ad oggetto diritti soggettivi quando la lesione di questi ultimi tragga origine, sul piano eziologico, da fattori causali riconducibili all’esplicazione del pubblico potere, pur se in un momento nel quale quest’ultimo risulta ormai mutilato nella sua forma autoritativa per la sopraggiunta inefficacia disposta dalla legge per la mancata conclusione del procedimento” e ciò anche se il risarcimento è autonomamente richiesto, nei limiti temporali della prescrizione quinquennale (v. Ad. pl. 9 febbraio 2006, n. 2), di seguito all’intervenuto annullamento del provvedimento degradatorio, anche in via di autotutela.

Nello stesso senso si è poi pronunciata Ad. plen. 16 novembre 2005, n. 9, che, anche richiamando analoghi orientamenti delle Sezioni Unite (ord. 22 novembre 2004, n. 21944 e sent. 31 marzo 2005, n. 6745), ha ritenuto compresa nella giurisdizione amministrativa quelle “condotte che si connotano quale attuazione di potestà amministrative manifestatesi attraverso provvedimenti autoritativi che hanno spiegato, secundum legem, i loro effetti pur se successivamente rimossi, in via retroattiva, da pronunce di annullamento”.

Più di recente Ad. plen. 30 luglio 2007, n. 9 che, in fattispecie per più versi analoga, conclude che “nella materia dei procedimenti di esproprio sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione – naturalmente anche ai fini complementari della tutela risarcitoria – di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche se il procedimento all’interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo atto traslativo ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi”.

Infine Ad. plen. 30 luglio 2007, n. 10, ha statuito che pur nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità spetta al giudice amministrativo conoscere, ai fini risarcitori, dei danni conseguiti ad un provvedimento amministrativo annullato per intervenuta scadenza del suo termine di efficacia (nella specie : requisizione) anche se i danni stessi si sono verificati dopo la stessa scadenza.

Ne deriva, conclusivamente, che la domanda per cui è causa è stata correttamente compresa, dal giudice di primo grado, nella giurisdizione del giudice amministrativo in quanto intesa a rimediare, insieme in via impugnatoria e risarcitoria, ad una lesione che risulta conseguente ad una serie procedimentale certamente svolta, dalla Provincia, nella sua veste di Autorità nell’esercizio, sia pure illegittimo, del potere ad essa spettante.

Assumono particolare rilievo, ai fini della riconducibilità della lesione all’esercizio del potere pubblico, i provvedimenti di variazione e di integrazione della pianificazione urbanistica, i reiterati provvedimenti di dichiarazione di pubblica utilità, i conseguenziali provvedimenti di occupazione e di determinazione e deposito delle indennità nonché lo stesso provvedimento di trasferimento della proprietà che, benché adottato dopo la scadenza del termine fissato dalla dichiarazione di pubblica utilità e perciò illegittimo e perciò annullato, da una parte non inficia la dispiegata efficacia degli atti posti in essere precedentemente – atti giunti a configurare la irreversibile destinazione del bene all’uso pubblico – e, d’altra parte, non vulnera la ritenuta riconducibilità procedimentale dell’attività amministrativa all’esercizio di un pubblico potere autoritativo.

IX – Si deve, infine, sottolineare – e la circostanza sembra avere chiari riflessi nella intera materia delle espropriazioni per pubblica utilità – che, è intanto entrato in vigore, con decorrenza 30 giugno 2003, il T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, (v. in merito all’art. 57, Ad. plen. 29 aprile 2005, n. 2 e Sez. un. 30 maggio 2005, n. 11336 e 2 luglio 2007, n. 14954) che, nel suo art. 43 detta una innovativa disciplina in tema di fattispecie già inquadrate negli schemi, contrastati anche dalla Corte di Strasburgo, della c.d. accessione invertita, derivi essa da occupazione acquisitiva o usurpativa.

In presenza di utilizzazione di un bene immobile per scopi di interesse pubblico – prescrive la norma – che sia modificato “in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo di pubblica utilità” l’autorità cui risale l’utilizzazione “anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio” può disporre che l’immobile stesso “vada acquisito al suo patrimonio indisponibile” con provvedimento discrezionale che, verso determinazione e preventivo pagamento della misura del risarcimento del danno, comporta il trasferimento del diritto di proprietà.

La norma, che rimette alla valutazione discrezionale dell’amministrazione di negare la restituzione del bene e che attribuisce al giudice amministrativo di sindacare, nell’ambito della giurisdizione attribuitagli ai sensi del successivo art. 53, le ragioni del diniego – secondo alcuni con competenza non solo esclusiva ma estesa al merito – sembra rilevare, per quanto qui interessa, sotto due aspetti.

Da una parte ed in generale essa conferma, infatti, quanto si è venuto esponendo in tema di positiva priorità del criterio di discriminazione fondato sulla “riconducibilità” dell’esercizio del potere all’autorità per altro estendendo la possibilità di accertarlo anche per via del solo accertamento della qualifica di “autorità” del soggetto agente e delle strumentalità del suo agire ai fini della realizzazione degli “scopi di interesse pubblico” la cui cura è ad essa commessa.

D’altra e più specifica parte la norma importa, ed i suoi compiuti effetti debbono essere ovviamente verificati nel nuovo quadro definito dall’intero decreto, una profonda revisione degli istituti dell’accessione invertita così come introdotti e sviluppati dalla giurisprudenza.

La fattispecie regolata resta per più di un verso analoga nei suoi tratti generali posto:

– che non è sufficiente il mero impossessamento del bene immobile altrui ma è necessario che lo stesso immobile sia anche “modificato” ed “utilizzato per scopi di interesse pubblico”, che, cioè, si sia in presenza e di un’attività materiale e di una sua obiettiva strumentalità;

– che permane l’esigenza della qualificazione del soggetto pubblico agente, che, dovendo configurarsi come “autorità” deve agire, alla stregua di una interpretazione costituzionalmente orientata, nel riconoscibile esercizio dei suoi poteri autoritativi.

L’istituto è per altro innovato sia, come già rilevato, quanto ai modi di emersione di questo esercizio rispetto ai quali appare fortemente recessiva la rilevanza dei momenti procedurali della dichiarazione di pubblica utilità e del decreto di espropriazione e sintomatica, perciò, la sola astratta previsione del potere; sia quanto all’estensione dell’ambito della discrezionalità amministrativa; sia quanto al meccanismo del trasferimento della proprietà del bene immobile, del quale l’autorità può rifiutare la restituzione nel solo ambito delle cennate garanzie giuridiche ed economiche, la cui esigenza è stata specialmente sottolineata dalla Corte di Strasburgo; sia con riferimento alla tutela giudiziaria, interamente attribuita, ora, con la sola eccezione delle “vie di fatto” materiali, al giudice amministrativo, ben al di là, perciò, dei limiti precedentemente affermati.

Si realizza per tale maniera, nella materia delle espropriazioni (eccezion fatta per le questioni indennitarie) quella estesa concentrazione della giurisdizione che è tra gli obiettivi prioritari della recente legislazione e che, coerente con la acquisita pienezza dei poteri del giudice amministrativo, consente ponderate riflessioni anche nelle altre materie che tuttora esprimono elementi di incertezza sul tema per più versi centrale degli esposti criteri di discriminazione.

X – Ne deriva che, ritenuta e dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, l’appello deve essere respinto con assorbimento del ricorso incidentale.

Le spese del grado di giudizio, tenuto conto della complessità delle questioni esaminate e del relativo esito, possono compensarsi.

Deve ordinarsi la rimessione degli atti di causa al Tribunale regionale amministrativo per la definizione del giudizio.

P.Q.M.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ritenuta e dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, respinge l’appello con assorbimento del ricorso incidentale.

Compensa le spese del giudizio di appello.

Ordina la rimessione della causa al Tribunale regionale amministrativo per la definizione del giudizio.

CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – sentenza 17 ottobre 2007 n. 21850 : Non occorre il preventivo annullamento dell’atto da parte del giudice amministrativo

1. Nel caso in cui sia stata introdotta, davanti al giudice ordinario, in un giudizio pendente alla data del 30 giugno 1998 (e, quindi, prima delle innovazioni introdotte al sistema di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo con il D.Lgs. n. 80 del 1998 e dalla L. n. 205 del 2000) una domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, il giudice potrà procedere ad accertare direttamente l’illegittimità del provvedimento amministrativo, non essendo più ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento davanti al giudice amministrativo, in passato costantemente affermata per l’evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all’emersione del diritto soggettivo, e quindi all’accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., e potendo, al contrario, detto accertamento essere svolto dal giudice ordinario nell’ambito dell’esame della riconducibilità della fattispecie sottoposta al suo esame alla nozione di fatto illecito delineata dall’art. 2043 c.c., secondo la nuova lettura della norma accolta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 500 del 1999

2. Così come recentemente affermato delle Sezioni unite della Cassazione al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi non è necessario il previo annullamento dell’atto illegittimo e dannoso (c.d. pregiudiziale amministrativa), essendo sufficiente l’accertamento della illegittimità dell’atto stesso; opinare diversamente significherebbe restringere la tutela che spetta al privato di fronte alla pubblica amministrazione. L’accertamento della illegittimità dell’atto non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento, nè il diritto al risarcimento può essere per sè disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovverosia la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità .

3. Il giudice, ai fini di accordare il risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi, seguendo lo schema normativo delineato dall’art. 2043 c.c., deve: a) accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) stabilire se il danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento, che può essere indifferentemente un interesse tutelato nelle forme del diritto soggettivo assoluto o relativo, ovvero nelle forme dell’interesse legittimo o altro interesse (non elevato ad oggetto di immediata tutela ma) giuridicamente rilevante (in quanto preso in considerazione dall’ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile a mero interesse di fatto); c) accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile a una condotta (positiva o omissiva) della P.A.

FATTO

D.G.P. in data 3 agosto 1990 presentava un’istanza volta ad ottenere l’autorizzazione all’importazione di loricati per la realizzazione di un allevamento a scopo commerciale. L’intento dell’istante era quello di fare riprodurre i loricati importati in Italia per poterne vendere le carni ed il pellame. L’istanza non risultava però corredata dei permessi di esportazione (c.d.certificati CITES) che dovevano essere rilasciati dallo Stato di provenienza degli esemplari. Dopo apposita istruttoria, e dopo comunicazioni e segnalazioni varie, il 25 novembre 1992 la Commissione scientifica Cites esprimeva parere negativo all’importazione in Italia di coccodrilli vivi destinati ad allevamento a fini commerciali, tenendo conto delle argomentazioni fornite dal gruppo di esperti della stessa Commissione, il 22 dicembre 1992 il Ministero Agricoltura dava notizia al Funzionario del C.F.S. di Napoli del parere negativo espresso dalla Commissione scientifica nella riunione del 27 novembre 1992, e l’8 gennaio 1993 comunicava al D.G. di non poter autorizzare alcuna importazione in Italia di esemplari vivi di coccodrillo.

Il 27 dicembre 1993 il D.G. chiedeva al Ministero del Commercio di essere autorizzato ad importare n. 30 esemplari di caimani dagli occhiali, originari del Sud America, affermando che la richiesta di autorizzazione doveva essere rilasciata entro e non oltre il 10 febbraio 1994 poichè detti animali erano stati già contrattati e dovevano pervenire in Italia entro quella data.

Dopo aver presentato nuove istanze, il D.G., rilevando nei dinieghi dell’autorizzazione gli estremi dell’illecito aquiliano, con atto di citazione notificato il 12.10.2000 conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il Ministero del Commercio Estero ed i Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali per ottenerne la condanna al pagamento della somma di L. 606.250.000000 (pari ad Euro 313.101.995,00), oltre agli interessi di legge ed alla rivalutazione monetaria, a titolo di risarcimento dei danni che affermava di aver subito per effetto della mancata autorizzazione alla costruzione di un impianto per l’allevamento di coccodrilli atti alla riproduzione della specie anche a scopo commerciale.

Costituitisi in giudizio, i convenuti chiedevano il rigetto della domanda avversaria e la condanna dell’attore al risarcimento dei danni per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.. Con sentenza depositata il 3 giugno 1998 il Tribunale di Roma dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario; ma la decisione veniva riformata dalla Corte d’appello di Roma che, con sentenza depositata il 17 luglio 2000 e passata in giudicato, dichiarava la giurisdizione dell’A.G.O., rimettendo le parti davanti al Tribunale di Roma per l’esame del merito della domanda. Riassunto il giudizio, con sentenza non definitiva del 20 – 21 settembre 2002 il Tribunale di Roma condannava i Ministeri convenuti, in solido fra loro, a rifondere all’attore il danno meglio precisato in motivazione, rimetteva la causa in istruttoria per la determinazione definitiva del danno risarcibile e respingeva la domanda riconvenzionale delle Amministrazioni convenute.

La decisione del Tribunale veniva confermata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza n. 2103 del 16 aprile – 3 maggio 2004, mentre con altra sentenza del 24 – 27 settembre 1994 il Tribunale di Roma determinava il danno subito dal D.G. in Euro 4.997.989,31 oltre interessi. La sentenza è stata impugnata dal D.G. sotto il profilo del mancato riconoscimento del lucro cessante.

A loro volta il Ministero delle Politiche Agricole ed il Ministero delle attività produttive hanno proposto ricorso avverso la sentenza n. 2102/2004 della Corte d’appello di Roma sulla base di tre motivi.

Il D.G. ha resistito notificando controricorso. Le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 358 c.p.c..

DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., art. 34 c.p.c., L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E), art. 5, nonchè erronea motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, in quanto la Corte d’appello, affermando che l’azione risarcitoria potesse essere accolta nonostante la mancata impugnazione dei provvedimenti di diniego emessi dalla Pubblica Amministrazione, ha violato il principio di carattere generale secondo cui non è legittimato a richiedere la tutela del proprio diritto il soggetto che con la propria acquiescenza ne abbia tollerato la lesione, ed ha omesso di considerare che secondo l’orientamento pressochè unanime della giurisprudenza amministrativa, è inammissibile la proposizione diretta dell’azione di risarcimento del danno derivante da lesione di interesse legittimo senza previa o contestuale azione di annullamento dell’atto dal quale si assume il danno sia causato, il risarcimento del danno essendo possibile soltanto dopo l’annullamento dell’atto impugnato. Il principio fondamentale di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, a garanzia del quale è posto il termine decadenziale di impugnazione dei provvedimenti amministrativi, subirebbe un grave vulnus ove fosse consentito farne valere, sia pure ad altri fini, l’illegittimità, dopo che sia ispirato detto termine di decadenza. La Corte d’appello non ha inoltre considerato che, ove la pretesa risarcitoria venga azionata sul mero presupposto dell’illegittimità del provvedimento negativo espressamente adottato dalla P.A., la questione in tal modo sollevata non si contraddistingue per il carattere dell’incidentalità richiamato dall’art. 34 c.p.c., ma assume natura principale, con la conseguenza che – essendo precluso nel giudizio risarcitorio l’accertamento in via principale dell’illegittimità dell’atto, e ciò a causa del mancato esperimento degli specifici rimedi riguardo ad esso previsti – la domanda di risarcimento dovrebbe essere rigettata in quanto il fatto produttivo del danno sarebbe insuscettibile di essere qualificato illecito. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., nonchè omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che la questione inerente al concorso colposo del debitore ex art. 1227 c.c., in funzione calmieratrice dell’ammontare del danno richiesto fosse assorbita dal superamento del principio relativo alla pre-giudizialità dell’annullamento del diniego, trascurando tra l’altro di considerare che il resistente aveva proceduto alla costruzione del manufatto destinato all’esercizio dell’attività commerciale prima di conoscere se tale attività sarebbe stata consentita dall’amministrazione competente.

Con il terzo motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., nonchè omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, in quanto la Corte d’appello ha omesso di considerare che ai fini della sussistenza di una responsabilità della P.A. in materia di risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. è necessario accertare l’esistenza di un evento dannoso; la qualificabilità del danno come ingiusto; la riferibilità dell’evento dannoso alla condotta della P.A.; l’imputabilità dell’evento dannoso a dolo o colpa della P.A., Affermando che l’evento dannoso sia rappresentato dalle spese sostenute dal resistente per la realizzazione di un impianto di allevamento per coccodrilli mai entrato in funzione, il giudice del merito non avrebbe considerato, innanzi tutto, che il D.G. aveva sostenuto tali spese a proprio rischio e pericolo, per effetto di un’iniziativa del tutto personale. I Ministeri ricorrenti, ciascuno nell’ambito di propria competenza, si erano attivati più volte nell’illustrare al resistente quale fosse l’iter da seguire al fine di avviare una corretta procedura per l’ottenimento della licenza di importazione di loricati a scopo di allevamento commerciale (produzione di certificato Cites regolarmente rilasciato dalla competente Autorità del Paese esportatore; richiesta al Ministero dell’Agricoltura e Foreste dell’attestato di pre- importazione; espressione dell’apposito parere da parte la Commissione scientifica Cites; richiesta di rilascio della licenza di importazione al Ministero Commercio Estero). Trattandosi, nella specie, di interesse pretensivo, ai fini dell’affermazione di responsabilità della P.A. non poteva essere sufficiente l’affermazione dell’illegittimità dell’atto, ma era necessario accertare l’effettiva spettanza in capo al privato del bene della vita che egli tendeva ad ottenere mediante la propria istanza.

Particolarmente carente sarebbe poi l’istruttoria (e, conseguentemente, la motivazione della sentenza impugnata) in ordine all’illegittimità del provvedimento con il quale il Ministero dell’Agricoltura ed il Ministero del Commercio hanno negato, rispettivamente, il rilascio dell’attestato di preimportazione e della licenza di importazione. La Corte d’appello non avrebbe infatti considerato che la Commissione scientifica si era espressa nel pieno rispetto della vigente normativa Cites, essendosi limitata, con il suo parere, ad applicare l’art. 4, comma 3, secondo capoverso, della Convenzione di Washington secondo cui, “quando un’autorità scientifica determinerà che l’esportazione di specimen di una qualunque di queste specie dev’essere limitata allo scopo di conservarla, in tutto il suo habitat, ad un livello compatibile con la sua funzione negli ecosistemi in cui si trova e, ad un livello nettamente superiore a quello che causerebbe la iscrizione della detta specie nell’appendice 1, essa informerà l’autorità amministrativa competente comunicando le misure appropriate da prendere per limitare la concessione dei permessi di esportazione per il commercio degli specimens della detta specie”. La Commissione, inoltre, era tenuta a rispettare l’intento principale che il legislatore internazionale e nazionale hanno perseguito nel disciplinare la materia in questione, ossia quello di proteggere le specie di fauna e flora minacciate di estinzione attraverso la regolamentazione del commercio internazionale degli animali e piante appartenenti a queste specie; ed il parere era stato appunto motivato con il rilievo che la propagazione a scopo commerciale di animali appartenenti all’Ordine Crocodylia al di fuori dell’area distributiva originaria non poteva giovare ai fini della conservazione della specie, mentre avrebbe nuociuto sia alla specie in questione sia al suo ambiente naturale, dal momento che non si instauravano i fattori in situ e di ritorno economico necessari alla loro sopravvivenza. La Commissione si era inoltre limitata ad applicare i principi fondamentali cui si ispira la Convenzione di Washington del 1973, principi in base ai quali la fauna e la flora selvatiche costituiscono per la loro bellezza e per la loro varietà un elemento insostituibile dei sistemi naturali, che deve essere protetto dalle generazioni presenti e future; la coscienza del valore sempre crescente dal punto di vista estetico, scientifico, culturale, ricreativo ed economico, della fauna e della flora selvatiche; il riconoscimento che i popoli e gli Stati sono e dovrebbero essere i migliori protettori della loro fauna e della loro flora selvatiche;

il riconoscimento inoltre che la cooperazione internazionale è essenziale per la protezione di determinate specie della fauna e della flora selvatiche contro un eccessivo sfruttamento a seguito del commercio internazionale; la convinzione che è necessario prendere con urgenza delle misure a questo scopo. L’allevamento di alcune specie di animali, tra cui i loricati, assume valore economico per le popolazioni del Terzo mondo; ed autorizzare allevamenti a scopo commerciale al di fuori di queste aree non rispetterebbe il suddetto principio e al contempo metterebbe a rischio l’unica fonte di sostentamento delle popolazioni locali determinando il venir meno del loro interesse alla conservazione delle specie in questione. La Commissione si sarebbe infine limitata a porre a fondamento del proprio parere negativo il divieto sancito espressamente dalla L. 7 febbraio 1992, n. 150, art. 6 e dal D.M. 18 maggio 1992, di importare, detenere e commercializzare specie appartenenti all’Ordine Crocodylia in quanto considerate specie pericolose per la salute e l’incolumità pubblica. Nè spettava alla Commissione scientifica – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale – il compito di effettuare sopralluoghi e valutare l’idoneità degli impianti di allevamento, valutazione che l’Amministrazione non ha potuto compiere sia in considerazione del parere negativo espresso dalla Commissione scientifica, sia per effetto del divieto sancito dalla L. n. 150 del 1992, art. 6 e dal D.M. 18 maggio 1992, appena citati. La condotta della P.A., dunque, non poteva essere considerata illegittima, nè la violazione del canone di imparzialità poteva essere desunta – in mancanza di indagine sulle singole situazioni – dal fatto che, nel periodo in cui al resistente veniva negato l’attestato di preimportazione l’autorizzazione finale, ad altri soggetti fosse stato rilasciato un provvedimento del tipo di quello da lui richiesto. Si tratta del resto di autorizzazioni accordate prima dell’entrata in vigore della L. n. 150 del 1992 e per di più relative a zooparchi, vale a dire ad attività diverse da quella di commercializzazione che il D.G. intendeva effettuare mediante la vendita delle carni e delle pelli dei loricati allevati; nè risulta che il resistente abbia mai fatto valere, in veste di controinteressato, l’asserita illegittimità di quei provvedimenti.

Sotto altro profilo, avendo la Commissione scientifica legittimamente espresso il proprio parere fondandolo su argomentazioni esclusivamente scientifiche e giuridiche così come previsto dalla normativa Cites, altrettanto legittimamente l’Amministrazione si sarebbe conformata a tale parere.

2. Il primo motivo è infondato. Come affermato in precedenti decisioni di questa Corte, nel caso in cui sia stata introdotta, davanti al giudice ordinario, in un giudizio pendente alla data del 30 giugno 1998 (e, quindi, prima delle innovazioni introdotte al sistema di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo con il D.Lgs. n. 80 del 1998 e dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, successiva, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 204 nella parte in cui non escludeva dall’ambito della giurisdizione esclusiva delle controversi “nelle quali può essere del tutto assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione – autorità”) una domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, il giudice potrà procedere ad accertare direttamente l’illegittimità del provvedimento amministrativo, non essendo più ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento davanti al giudice amministrativo, in passato costantemente affermata per l’evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all’emersione del diritto soggettivo, e quindi all’accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., e potendo, al contrario, detto accertamento essere svolto dal giudice ordinario nell’ambito dell’esame della riconducibilità della fattispecie sottoposta al suo esame alla nozione di fatto illecito delineata dall’art. 2043 c.c. secondo la nuova lettura della norma accolta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 500 del 1999 (cfr. Cass. 22 luglio 2004, n. 13619). Confermando tale indirizzo, dal quale non si ravvisano ragiono per discostarsi, le Sezioni Unite di questa Corte, con tre distinte ordinanze (13 giugno 2006, n. 13659; 13 giugno 2006, n. 13660; 15 giugno 2006, n. 13911) dopo aver premesso tra l’altro che la teoria della pregiudizialità amministrativa, “intesa come dipendenza del diritto al risarcimento dal previo annullamento, era maturata in un contesto nel quale da un lato si escludeva la risarcibilità del pregiudizio sofferto per il sacrificio di situazioni di interesse legittimo, dall’altro si era omologato al trattamento di questa situazione quella del diritto soggettivo degradato ad interesse”, ha osservato testualmente che “ammettere la necessaria dipendenza del risarcimento dal previo annullamento dell’atto illegittimo e dannoso, anzichè dal solo accertamento della sua illegittimità significherebbe restringere la tutela che spetta al privato di fronte alla pubblica amministrazione” e che “tutela risarcitoria autonoma delle situazioni di interesse legittimo significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l’illegittimità di tale agire. Questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento, nè il diritto al risarcimento può essere per sè disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovverosia la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità”.

3. Merita invece accoglimento, nei limiti che seguono, il terzo motivo di ricorso. Come ancora di recente testualmente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. 21 ottobre 2005, n. 20454), con la nota sentenza n. 500 del 22 luglio 1999, le Sezioni Unite di questa Corte hanno rilevato che, agli effetti della risarcibilità, ai sensi dell’art. 2043 c.c. si considera ingiusto il danno arrecato in difetto di una causa di giustificazione, che non può restare a carico della vittima, ma deve essere trasferito all’autore del fatto, in quanto lesivo di interessi giuridicamente tutelati, quale che sia la qualificazione formale di detti interessi e senza, in particolare, che ne sia determinante la strutturazione come diritti soggettivi perfetti. La risarcibilità degli interessi legittimi – la cui lesione è qualificabile in astratto come danno ingiusto – dipenda in concreto dall’accertamento dell’effettività del danno e della sua ingiustizia, dall’esistenza di un nesso causale tra l’evento e il comportamento illegittimo della P.A. e da una componente di dolo o colpa dell’amministrazione-apparato, che non può considerarsi in re ipsa nella sola illegittimità dell’esercizio della funzione amministrativa (nè, pertanto, conseguire ipso facto all’accertata illegittimità dell’atto amministrativo), ma deve essere verificata caso per caso dal giudice in ragione di un esercizio dell’azione amministrativa che risulti in violazione di regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, quali limiti esterni alla discrezionalità. In altri termini, ove sia stata dedotta davanti al giudice ordinario una domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio della funzione pubblica, il giudice, al fine di stabilire se la fattispecie concreta sia o no riconducibile nello schema normativo delineato dall’art. 2043 c.c.., dovrà a) accertare la sussistenza di un evento dannoso;

b) stabilire se il danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento, che può essere indifferentemente un interesse tutelato nelle forme del diritto soggettivo assoluto o relativo), ovvero nelle forme dell’interesse legittimo (quando, cioè, questo risulti funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, poichè è la lesione dell’interesse al bene che rileva ai fini in esame), o altro interesse (non elevato ad oggetto di immediata tutela ma)giuridicamente rilevante (in quanto preso in considerazione dall’ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile a mero interesse di fatto); c) accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile a una condotta (positiva o omissiva)della P.A.; d) stabilire se il predetto evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della P.A. ciò premesso, debbono essere disattese le doglianze dei ricorrenti i quali, per contestare l’assenza di colpa della P.A., hanno fatto riferimento a norme, direttive e pareri inerenti alla protezione della fauna allo stato naturale e delle specie di animali selvatici in estinzione per finalità di conservazione dell’ambiente e dell’equilibrio dell’ecosistema, laddove nella specie si tratta di importazione di animali di allevamento, nati e cresciuti in cattività e tali, quindi, che la loro importazione, anche a scopo commerciale non costituisce pregiudizio per dette finalità. Deve essere ugualmente disattesa la tesi degli stessi ricorrenti secondo cui il danno lamentato dal resistente sarebbe riconducibile esclusivamente all’inziativa dello stesso D.G. il quale effettuò la costruzione dell’impianto senza attendere l’esito della domanda di autorizzazione e pur nella consapevolezza che per l’importazione dei loricati erano necessari sia il certificato di preimportazione sia il permesso di importazione. L’esistenza di impianti idonei costituisce infatti una delle condizioni per ottenere la licenza, pur essendo mancata nel giudizio di merito (e, comunque, non risultando essere stata effettuata) una specifica indagine al fine di accertare se ed in che misura parte di tali spese sia stata eventualmente sostenuta allorchè – per quanto di seguito precisato – il D.G. era nelle condizioni di conoscere che la licenza non sarebbe stata rilasciata.

Nella sentenza impugnata risulta tuttavia carente l’indagine relativa al nesso di causalità. Al riguardo occorre precisare che, secondo quanto rilevato dal giudice di primo grado, l’importazione di loricati vivi da paesi extracomunitari era soggetta sia ad un’attestazione del Ministero dell’agricoltura e foreste (certificato di c.d. “pre-importazione), sia ad una licenza di importazione; e tale rilievo del Tribunale non può considerarsi contrastato dal richiamo fatto dal D.G. nel controricorso all’art. 7, quinto comma della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata il 3 marzo 1973 e ratificata in Italia con L. 19 dicembre 1975, n. 874 (“quando un’autorità amministrativa dello Stato di esportazione avrà verificato che qualunque specimen di una specie animale è stato allevato in cattività……o che si tratta di una parte di un tale animale….un certificato di questa autorità amministrativa a tale effetto sarà accettato in sostituzione dei permessi richiesti in conformità alle disposizioni degli articoli 3, 4 e 5”), norma per la quale, all’evidenza, l’attestazione dell’autorità amministrativa in essa menzionata ha valore sostitutivo dei permessi di importazione limitatamente alla sola certificazione che si tratta di specimen di una specie animale allevato in cattività. Orbene, l’affermazione relativa all’esistenza del nesso di causalità tra la condotta illegittima imputata alla Pubblica Amministrazione ed il danno riconosciuto al D.G., avrebbe implicato la specifica individuazione del momento in cui può considerarsi che il resistente ha presentato un’istanza, corredata dei richiesti certificati, volta ad ottenere un attestato di pre-importazione di loricati a scopo commerciale, e la precisa individuazione del momento in cui venne presentata la successiva domanda di licenza di importazione, a tal fine nessun rilievo potendo attribuirsi, tra l’altro, alla istanza presentata per il diverso fine – cui si riferiscono i pareri della USL n. (OMISSIS) di Sessa Aurunca e la presa d’atto di tali pareri da parte del Sindaco di Sessa Aurunca – della stabulazione di 39 vasche per l’allevamento di loricati nell’ambito di un Centro studi e ricerche per acclimatamento, riproduzione genetica delle razze, ripopolamento, allevamento zoopark e conservazione di animali pregiati.

E’ in relazione alla precisa individuazione dei detti due momenti che avrebbero dovuto essere valutati sia il soddisfacimento del requisito relativo alla idoneità degli impianti di allevamento, sia l’incidenza che, rispetto al diniego della Pubblica Amministrazione, possono avere avuto – eventualmente con l’effetto di escludere il nesso di causalità – non tanto le previsioni della L. 7 febbraio 1992, n. 150, presa in considerazione dalla sentenza impugnata, il cui art. 6 si riferisce effettivamente (in forma più limitativa di quanto non traspaia dal titolo della legge) al divieto di commercio e detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili “selvatici”, quanto le successive modifiche apportate dalla L. 13 marzo 1993, n. 59 in sede di conversione del decreto L. 12 gennaio 1993, n. 2, con le quali venne introdotto esplicitamente un divieto di commercio e detenzione anche di “esemplari vivi di mammiferi e rettili provenienti da riproduzioni in cattività che costituiscono pericolo per la salute e per l’incolumità pubblica”, divieto poi ripreso anche in disposizioni di legge posteriori.

La motivazione contenuta sul punto nella sentenza della Corte d’appello non appare infatti esauriente con riguardo all’accertamento del nesso di causalità, nè appare idonea ad escludere che una parte almeno delle spese di costruzione dell’impianto possa essere dovuta a una condotta del resistente rilevante sotto il profilo dell’art. 1227 c.c..

Consegue da quanto sopra che il primo motivo di ricorso deve essere respinto, mentre va accolto il terzo motivo, con assorbimento del secondo, Cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche ai fini delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte respinge il primo motivo di ricorso; accoglie il terzo motivo; dichiara assorbito il secondo; in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche ai fini delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2007.

Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2007.

Cass. S.U. 30254/08: discussione e decisione sulla questione della pregiudizialità amministrativa  ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ.

……… omissis

Il ricorso principale è in conclusione nel suo complesso inammissibile.

Tuttavia non è esaurito il dovere della sezioni unite di pronunciarsi sui ricorsi.

7. – La Corte osserva, infatti, che l`istituto della pregiudizialità amministrativa nei suoi rapporti con la tutela risarcitoria degli interessi legittimi si presenta oggi come questione rilevante e di particolare importanza.

Essa si presterà dunque ad essere discussa dalle Sezioni unite in vista della enunciazione di un apposito principio di diritto, in applicazione dell`art. 363 cod. proc. civ., come già è stato fatto in tema di giurisdizione con la sentenza 28 dicembre 2007 n. 27187, se ne risulterà dimostrato che si tratta di questione che rientra nel sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione, cui l`art. 111, ultimo comma, Cost. assoggetta anche le decisioni del Consiglio di Stato e che l`art. 374, primo comma, in relazione all`art. 362, primo comma, cod. proc. civ. attribuisce alla Corte di cassazione a sezioni unite, attraverso il mezzo del ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione.

8.1. – Prima di accingersi a tale indagine, conviene delimitare lo stesso ambito della questione.

E` implicito in quanto si è già osservato, che il campo in cui la questione ha ragione di porsi non coincide con l`intero ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, perché, pur quando la controversia concerne una materia di giurisdizione esclusiva, di pregiudizialità amministrativa si può discorrere solo se si lamenti che la P.A. ha sacrificato o non realizzato un interesse con un suo provvedimento illegittimo, non anche quando un diritto è stato sacrificato con un comportamento, che pur si iscriva in una serie presidiata da un originario atto di esercizio di potere amministrativo.

Perché questo, come è stato già posto in rilievo con la ordinanza 27 giugno 2007 n. 14794 della Corte a sezioni unite, può assumere i caratteri di un fatto giuridico che rileva nel senso di attrarre la controversia all`area della giurisdizione esclusiva, ma non anche di fatto che muta in quella di interesse legittimo la qualificazione come diritto soggettivo che spetta alla situazione sacrificata ed in attesa di tutela.

Detto questo, si nota che la questione muove da un presupposto che oggi si può considerare non più in discussione e condiviso anche da buona parte della giurisprudenza sia del Consiglio di Stato che dei Tribunali amministrativi regionali.

L`art. 7, comma 3, L. 6 dicembre 1971, n. 1034 – dopo le modifiche che vi sono state apportate con l`art. 35 del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e con l`art. 7 della L. 21 luglio 2000, n. 205 – dispone che il tribunale amministrativo regionale, nell`ambito della sua giurisdizione e perciò pure nell`ambito della sua giurisdizione di legittimità conosce anche di tutte le questioni relative all`eventuale risarcimento del danno.

La Corte costituzionale, prima con la sentenza 6 luglio 2004 n. 204 poi con la sentenza 11 maggio 2006 n. 291, ha segnalato il fondamento di legittimità di questa attribuzione e lo ha indicato nell`art. 24 Cost., perciò nel principio di effettività della tutela giurisdizionale, il quale richiede che il giudice cui è affidata la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi nei confronti della pubblica amministrazione sia munito di adeguati poteri.

Sia il Consiglio di Stato e sia questa Corte a Sezioni unite hanno in seguito affermato, in modo costante e coerente, che spetta al giudice amministrativo, in presenza di atti della P.A., espressione di potere, ma connotati da illegittimità e di fatto lesivi, dare tutela al privato anche in forma risarcitoria.

Ragione di permanente incertezza deriva invece dal dissenso tra le Corti su un diverso punto.

Questa Corte, a sezioni unite, con le ordinanze nn. 13659 e 13660 del 2006 ha affermato che, di fronte ad un atto della P.A. che ne sacrifica l`interesse o manca di realizzarlo, la parte, che ha l`onere di rivolgersi al giudice amministrativo per ottenere tutela, può scegliere di chiedere il solo risarcimento del danno.

Per contro, l`Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione che s`è esaminata, ha ribadito l`orientamento per cui la tutela risarcitoria degli interessi legittimi presuppone che la illegittimità sia accertata e perciò, quando l`atto non sia stato già annullato, in sede amministrativa o dal giudice, la domanda risarcitoria non può essere da lui esaminata, se non in presenza di una tempestiva domanda di annullamento.

8.2. – La Corte, a sezioni unite, nelle ordinanze del 2006, attinta la conclusione che la L. 21 luglio 2000, n. 2005, all`art. 7 ha dato al giudice amministrativo la giurisdizione sulla domanda autonoma di risarcimento del danno, ha osservato: – <Tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l`illegittimità di tale agire. Questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento né il diritto al risarcimento può essere per sé disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità. Dunque il rifiuto della tutela risarcitoria autonoma, motivato sotto gli aspetti indicati, si rivelerà sindacabile attraverso il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione>.

Più di recente, questa impostazione è stata ribadita dalle Sezioni unite nella ordinanza 16 novembre 2007 n. 23471, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione in relazione a domanda risarcitoria autonoma proposta a giudice ordinario, senza che fosse stato chiesto al giudice amministrativo l`annullamento dell`atto lesivo.

Tuttavia l`impostazione non ha trovato unanimi consensi con la conseguenza che su di essa è dunque necessaria un`ulteriore riflessione.

9. – Contro le decisioni della Corte dei conti e del Consiglio di Stato il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione – così il terzo comma dell`art. 111 Cost., divenuto l`ottavo dopo la L. cost. 23 novembre 1999, n. 2 “Inserimento dei principi del giusto processo nell`art. Ili della Costituzione”.

La norma delimita ed al tempo stesso descrive, attraverso l`espressione <per i soli motivi inerenti alla giurisdizione>, l`ambito ed i limiti del sindacato per violazione di legge che la Corte a sezioni unite può compiere anche sulle sentenze dei giudici speciali, quando ad essere impugnata è una decisione del giudice amministrativo.

Primo e necessario interprete della norma è la stessa Corte, chiamata a conformare l`esercizio del suo potere giurisdizionale in questo campo sul significato che all`espressione deve essere riconosciuto.

10.1. – Anche a proposito di questa norma, l`interpretazione deve tenere conto della evoluzione che nel tempo l`ordinamento, nel suo complesso, ha conosciuto.

Evoluzione caratterizzata da una molteplicità di fattori.

Tra questi, il rapporto tra diritto comunitario ed ordinamento interno ed il ruolo della giurisdizione nel rendere effettivo il principio del primato del diritto comunitario; la rimozione del limite alla tutela risarcitoria degli interessi legittimi, la caduta del limite dei diritti consequenziali in rapporto alla tutela risarcitoria dei diritti nell`ambito della giurisdizione esclusiva e l`estensione ai diritti consequenziali d`ogni forma di tutela pertinente alla giurisdizione del giudice amministrativo; la coeva progressiva espansione della giurisdizione esclusiva (rispetto alle nove ipotesi regolate dall`art. 29 T.U. 22 giugno 1924, n. 1054); il rilievo assunto dal canone della effettività della tutela e dal principio di unità funzionale della giurisdizione nella interpretazione del sistema ad opera della giurisprudenza e della dottrina; la riaffermazione del rilievo costituzionale del principio del giusto processo; il nuovo ruolo assunto nell`ordine delle fonti dal diritto pattizio internazionale; l`emersione, come corollario del principio di effettività, della regola di conservazione degli effetti prodotti sul piano processuale e sostanziale dalla domanda di giustizia. 10.2. – Giurisdizione – è stato osservato da più parti – è termine che può essere inteso in diversi modi.

Nel tessuto della Costituzione non è oggi possibile dubitare che per giurisdizione deve essere inteso non in sé il potere di conoscere di date controversie, attribuito per una specifica parte a ciascuno dei diversi ordini di giudici di cui l`ordinamento è dotato, ma quel potere che la legge assegna e che è conforme a Costituzione che sia assegnato ai giudici perché risulti attuata nel giudizio la effettività dello stesso ordinamento.

Giurisdizione, nella Costituzione, per quanto interessa qui, è termine che va inteso nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi e dunque in un senso che comprende le diverse tutele che l`ordinamento assegna ai diversi giudici per assicurare l`effettività dell`ordinamento.

Che ciò sia si desume dalla convergenza di più norme della Costituzione: l`art. 24, primo comma, che guarda ai diritti ed agli interessi, sia come situazioni giuridiche di cui le parti sono titolari sia come oggetto del diritto delle parti di agire in giudizio per la tutela di tali situazioni di interesse sostanziale protette dall`ordinamento; l`art. 113, primo e secondo comma, da cui si trae che la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi, contro gli atti della pubblica amministrazione, da un lato è sempre ammessa dinanzi agli organi di giurisdizione amministrativa, dall`altro non può essere limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti; l`art. 111, primo comma, che, mediante i principi del giusto processo e della sua ragionevole durata, esprime quello di effettività della tutela giurisdizionale.

Se attiene alla giurisdizione l`interpretazione della norma che l`attribuisce, vi attiene non solo in quanto riparte tra gli ordini di giudici tipi di situazioni soggettive e settori di materia, ma vi attiene pure in quanto descrive da un lato le forme di tutela, che dai giudici si possono impartire per assicurare che la protezione promessa dall`ordinamento risulti realizzata, dall`altro i presupposti del loro esercizio.

10.3. – Interessa qui dare giustificazione dell`assunto, che è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell`attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che dà contenuto al potere stabilendo attraverso quali forme di tutela esso si estrinseca.

La giustificazione può essere svolta avendo riguardo alla tutela risarcitoria come aspetto della giurisdizione esclusiva.

10.4. – Il terzo comma dell`art. 7 della legge TAR – riproducendo nella sostanza la disposizione contenuta nell`art. 30, secondo comma, del R.D. 1054 del 1924 sul Consiglio di Stato – aveva stabilito che nelle materie deferite alla giurisdizione esclusiva dei tribunali amministrativi restavano riservate all`autorità giudiziaria le questioni attinenti a diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di illegittimità dell`atto o provvedimento contro cui si ricorre.

Ma, intervenuto l`art. 13 della L. 19 febbraio 1992, n. 142 in adempimento degli obblighi comunitari ed affermatosi con la sentenza 22 luglio 1999 n. 500 delle sezioni unite il principio per cui, di fronte ad un esercizio illegittimo della funzione pubblica, diritto al risarcimento del danno ingiusto v`era in presenza del sacrificio di una qualsiasi situazione di interesse rilevante da cui fosse derivato danno, la tutela risarcitoria era divenuta ammissibile davanti al giudice ordinario come tutela autonoma, salvi i casi di giurisdizione esclusiva estesa ai diritti consequenziali.

La disposizione è poi ricaduta nell`ambito di applicazione della norma abrogante dettata dall`art. 35.5. del D. Lgs. 80 del 1998, sostituito dall`art. 7 lett. e) della legge 205 del 2000, con cui si è stabilito che fosse abrogata ogni disposizione che prevedeva la devoluzione al giudice ordinario delle <controversie sul risarcimento del danno conseguente all`annullamento di atti amministrativi>.

Con l`art. 7 lett. e) della legge 205 del 2000 è stato anche sostituito il primo comma dell`art. 35.1. del D. Lgs. 80 del 1998, ed è stato stabilito che <Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto>.

10.5. – Orbene, a proposito della legittimità costituzionale dell`art. 35.1. si deve muovere dal considerare quanto ha osservato la Corte costituzionale non solo nelle sentenze 204 del 2004 e 191 del 2006, ma anche nella sentenza 77 del 2007.

La sentenza della Corte sul tema della translatio iudicii – che trae le conseguenze dal parallelo attuale significato della competenza e della giurisdizione – si presenta innervata da tre ordini di considerazioni.

La pluralità dei giudici costituisce una articolazione interna di un sistema di organi nel suo complesso deputato a dare una risposta di merito alla domanda di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi.

Se la tutela giurisdizionale deve essere effettiva e tanto più riesce ad esserlo in quanto siano messe a frutto le distinte competenze dei vari ordini di giudici; una volta che la domanda dì giustizia sia formulata; le norme processuali, che sono destinate ad assicurare il rispetto della garanzia costituzionale del giudice naturale in funzione della migliore decisione, debbono prevedere i congegni che consentono di riparare l`errore compiuto della parte nella scelta del giudice, ma anche di superare l`errore del giudice nel denegare la giurisdizione, perché altrimenti il diritto alla tutela giurisdizionale risulterebbe frustrato dalle stesse norme che sono ordinate al suo migliore soddisfacimento.

Come a questa esigenza è informato il sistema delle norme che presiedono alla distribuzione delle competenze nell`ambito dello stesso ordine di giudici, così gli artt. 24 e 111 Cost. impongono che ciò sia per il sistema delle norme che regolano il riparto della competenza giurisdizionale tra i diversi ordini di giudici.

I principi di unità funzionale della giurisdizione e di effettività della tutela giurisdizionale sono anche alla base delle precedenti decisioni in tema di giurisdizione esclusiva.

Nella sentenza 191 del 2006 la Corte costituzionale ha messo in rilievo l`importanza dell`osservazione già fatta nella sentenza 204 del 2004: non costituire altra materia di giurisdizione esclusiva l`attribuzione al giudice amministrativo del potere di risarcire il danno subito dalla parte a causa delle illegittime modalità di esercizio della funzione amministrativa.

E da un lato ne ha descritto il valore, di <attribuzione alla giurisdizione amministrativa della tutela risarcitoria – non a caso con la medesima ampiezza, e cioè sia per equivalente sia in forma specifica, che davanti al giudice ordinario>; da altro lato ne ha rinvenuto il fondamento di legittimità costituzionale <nella esigenza, coerente con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost. di concentrare davanti ad un unico giudice l`intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica>, (all`uopo richiamando la sentenza 22 luglio 1999 n. 500/SU di questa Corte).

10.6. – Il senso di quest`impostazione – secondo la spiegazione che ne ha dato la Corte costituzionale – sta in ciò che, siccome giudice naturale della legittimità della funzione pubblica è il giudice amministrativo, gli artt. 24 e 111 Cost., che postulano l`effettività della tutela giurisdizionale, vengono a porsi come una sufficiente base di legittimazione sul piano costituzionale per una scelta, che trascende la qualificazione sostanziale della pretesa risarcitoria, per concentrare davanti ad un unico giudice l`intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio di quella funzione.

10.7. – La giustificazione che sul piano costituzionale quella Corte ha dato a proposito delle disposizione dettata dal primo comma dell`art. 35 e che l`ha condotta a negare che la domanda del cittadino vada rivolta al giudice ordinario per ciò solo che abbia come oggetto esclusivo il risarcimento del danno è stata dunque, che essa è valsa a realizzare una giurisdizione piena del giudice della funzione pubblica in nome della effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi di fronte alla pubblica amministrazione.

10.8. – Orbene, quando dal giudice amministrativo si afferma che la tutela risarcitoria può essere somministrata dal quel giudice, in presenza di atti illegittimi della pubblica amministrazione, solo se gli stessi siano stati previamente annullati in sede giurisdizionale o di autotutela, si finisce col negare in linea di principio che la giurisdizione del giudice amministrativo includa nel suo bagaglio una tutela risarcitoria autonoma, oltre ad una tutela risarcitoria di completamento.

E perciò, presupposto, in ipotesi, che rientri nei poteri del giudice amministrativo erogare la tutela risarcitoria autonoma, il rigetto della relativa domanda, si risolve in un rifiuto di erogare la relativa tutela.

Ed infatti, tale rifiuto dipenderebbe non da determinanti del caso concreto sul piano processuale o sostanziale, ma da un`interpretazione della norma attributiva del potere di condanna al risarcimento del danno, che approda ad una conformazione della giurisdizione da cui ne resta esclusa una possibile forma.

Ma ciò si traduce in menomazione della tutela giurisdizionale spettante al cittadino di fronte all`esercizio illegittimo della funzione amministrativa ed in una perdita di quella effettività, che ne ha giustificato l`attribuzione al giudice amministrativo.

11.1. – Rientra d`altra parte nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l`operazione che consiste nell`interpretare la norma attributiva dì tutela, per verificare se il giudice amministrativo non rifiuti lo stesso esercizio della giurisdizione, quando assume della norma un`interpretazione che gli impedisce di erogare la tutela per come essa è strutturata, cioè come tutela risarcitoria autonoma.

11.2. – E` pacifico, invero, che possibile oggetto di sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione sia anche la decisione che neghi la giurisdizione del giudice adito.

11.3. – Storicamente, la problematica del giudizio sulla questione di giurisdizione si è venuta costruendo come problema di riparto tra le giurisdizioni.

La più diffusa esperienza giurisprudenziale sull`argomento si è avuta riguardo al confronto tra la giurisdizione del giudice ordinario, che è una giurisdizione sul rapporto, e quella del giudice amministrativo, che, nata come giurisdizione sull`atto, nel quadro non più di una giurisdizione speciale, si va anch`essa trasformando in una giurisdizione sul rapporto, specie sotto il profilo della tutela risarcitoria, dopo il crollo del muro della irrisarcibilità dell`interesse legittimo.

Il modello della giurisdizione esclusiva solo con la legge sui TAR ha preso ad essere effettivamente impiegato dal legislatore in campi diversi da quello, precipuo, delle controversie traenti origine dal rapporto di pubblico impiego e così lo stabilire se i giudici dei due ordini avevano sbagliato nell`esercitare o rifiutare di esercitare la giurisdizione s`è tradotto nel compiere, in base all`ordinamento ed alla interpretazione della pertinente norma di qualificazione, l`operazione d`attribuire alla concreta situazione giuridica dedotta in giudizio come oggetto dì tutela la natura di diritto soggettivo od interesse legittimo.

Lo strumento logico che ne è risultato forgiato – consistente nel verificare se la decisione abbia attuato un Superamento dei limiti esterni della giurisdizione> – ha assunto in questo modo il significato di una certificazione di correttezza dell`operazione ermeneutica compiuta dal giudice, se ed in quanto condotta al solo livello di qualificazione, della situazione soggettiva dedotta in giudizio, alla stregua del diritto oggettivo.

Le norme sulle diverse fattispecie di giurisdizione esclusiva, delineando il loro ambito di applicazione in base alla presenza di fattori ulteriori rispetto alla situazione soggettiva di interesse legittimo hanno comportato invece la necessità di estendere l`opera di qualificazione dei fatti oggetto di giudizio a quelli cui la norma attributiva di giurisdizione ha assegnato la portata di delimitare l`ambito delle controversie costituenti la materia di giurisdizione esclusiva.

Ma, pur così ampliato il campo del suo impiego, la regola dei limiti esterni è in grado di servire allo scopo di espungere dall`area dei motivi attinenti alla giurisdizione ogni segmento del giudizio che si rivela estraneo alla ricognizione della portata della norma che attribuisce giurisdizione, ricognizione che costituisce invece l`oggetto su cui al giudizio del giudice amministrativo si può sovrapporre, modificandolo, quello della Corte di cassazione a sezioni unite

11. 4. – Peraltro, come mostra nel campo della giurisdizione di merito il caso dei ricorsi per l`ottemperanza (artt. 27 n. 4 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 e 7, comma 1, L. 6 dicembre 1971, n. 1034) – che, a ben vedere, integrano una forma di tutela, più che una materia – una questione di giurisdizione si presenta anche quando non è in discussione che la giurisdizione spetti al giudice cui ci si è rivolti, perché è solo quel giudice che secondo l`ordinamento la può esercitare, ma si deve invece di stabilire se ricorrono – in base alla norma che attribuisce giurisdizione – le condizioni perché il giudice abbia il dovere di esercitarla (così, in rapporto al decreto di accoglimento di ricorso straordinario al Capo dello Stato, il configurarsi come giudicato ha potuto essere discusso come questione di giurisdizione da Sez. Un. 2 ottobre 1953 n. 3141 e più di recente Sez. Un. 18 dicembre 2001 n. 2448).

11.5. – E` parso che le ordinanze di questa Corte del 2006 non si siano attenute al canone richiamato al punto 11.2. ed abbiano invece preconizzato una invasione dell`ambito proprio della giurisdizione del giudice amministrativo, là dove, interpretata la norma dettata dall`art. 7 della legge TAR nel testo modificato dalla legge 205 del 2000, nel senso che abbia attribuito la tutela risarcitoria degli interessi legittimi al giudice amministrativo, hanno anche detto che nella norma non vi è il limite per cui la domanda di tale tutela allora solo determina nel giudice amministrativo il dovere di giudicarne il fondo, quando dell`atto illegittimo è chiesto od è stato già pronunciato l`annullamento.

Ma, da un punto di vista logico e per quello che si è detto, questo assunto non convince.

Postulare che la norma che attribuisce ad un giudice una forma di tutela lo faccia sulla base di un determinato presupposto positivo o negativo, dalla cui presenza ne dipenda l`erogazione, per un verso, come si è visto, inerisce al giudizio che quel giudice deve compiere per stabilire in che limiti la giurisdizione gli è attribuita.

Per altro verso, il sindacato che assume a suo oggetto questo tratto si arresta e non oltrepassa il limite oltre il quale non può essere esercitato, perché si appunta su un aspetto della norma e si traduce in una decisione della Cassazione, che vincola ad esercitare la giurisdizione rispettando i tratti essenziali della forma di tutela in questione, senza pretendere di costringere a riconoscere rispettati dalla domanda né le condizioni processuali d`una decisione di merito né ì fatti che danno in concreto diritto alla tutela richiesta.

11.6. – Le sezioni unite sono in conclusione autorizzate a passare alla discussione della questione di particolare importanza in precedenza anticipata, al punto 7.

12.1. – Punto di partenza nell`indagine sulla disciplina positiva della tutela degli interessi legittimi come dei diritti soggettivi non può non essere l`art. 24, primo comma, Cost.

Dal quale – perché dispone che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi – non pare sia possibile trarre se non il significato che dei diritti e degli interessi, di cui è titolare, ognuno è arbitro di chiedere tutela e che perciò a ciascuno spetta non solo di scegliere se chiedere tutela giurisdizionale, ma anche di scegliere di quale avvalersi, tra le diverse forme di tutela apprestate dall`ordinamento, per reagire al fatto che l`interesse sostanziale della parte, protetto dall`ordinamento, sia rimasto insoddisfatto.

Queste sezioni unite, nelle ordinanze del 2006 e del resto in consonanza con diffusi orientamenti della dottrina, alla luce della Costituzione e dello stadio di evoluzione dell`ordinamento, avevano già avuto modo di porre l`accento sulla insostenibilità di precedenti ricostruzioni della figura dell`interesse legittimo e della giurisdizione amministrativa, che il primo configuravano come situazione funzionale a rendere possibile l`intervento degli organi della giustizia amministrativa, e della seconda predicavano la natura di giurisdizione di diritto oggettivo, e dunque di mezzo direttamente volto a rendere possibile, attraverso una nuova determinazione amministrativa, il ripristino della legalità violata e solo indirettamente a realizzare l`interesse del privato.

12.2. – Altro punto di riferimento è rappresentato, per ciò che interessa qui, dall`art. 113, primo e secondo comma, Cost. e dal precetto in essi contenuto, che è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giustizia ordinaria o amministrativa e che tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione.

Il precetto è venuto ad assumere ulteriore concretezza a cavallo della fine del `900, quando, con il D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, la riflessione compiuta dalle sezioni unite con la sentenza 500 del 1999 sulla vicenda della risarcibilità degli interessi legittimi e la disciplina al riguardo introdotta infine con la L. 21 luglio 2000, n. 205, ha finito con l`essere acquisito che, se l`ordinamento protegge una situazione di interesse sostanziale, in presenza di condotte che ne impediscono o mancano di consentirne la realizzazione, non può essere negato al suo titolare almeno il risarcimento del danno, posto che ciò costituisce la misura minima, e perciò necessaria di tutela di un interesse, indipendentemente dal fatto che la protezione assicurata dall`ordinamento in vista della sua soddisfazione, sia quella propria del diritto soggettivo o dell`interesse legittimo.

12.3. – Lo sbocco cui conduce il confluire di questa acquisizione nell`alveo dei principi desunti dagli artt. 24 e 113 Cost. è che, per i diritti soggettivi come per gli interessi, spetta al loro titolare tutela sul piano risarcitorio e, se a questa si aggiunge altra forma di tutela, spetta al titolare della situazione protetta, in linea di principio, scegliere a quale far ricorso in vista di ottenere ristoro al pregiudizio provocatogli dall`essere mancata la soddisfazione che è attesa attraverso la condotta altrui.

12.4.1. – L`ordinamento, come assoggetta con norme di diritto sostanziale l`esercizio dei diritti a termini di prescrizione o di decadenza, così dispone con norme di diritto processuale circa i tempi di accesso alla tutela giurisdizionale; esclude in casi specifici determinate situazione soggettive dall`attribuzione di una tra le forme di tutela invece in via generale riconosciute a situazioni dello stesso tipo e, quando riconosce più forme di tutela in concorso tra loro, può prevedere regole di coordinamento nell`atto di farle valere.

E` in questo quadro che si inserisce il tema del rapporto tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria, rispetto alle situazioni di interesse legittimo.

12.4.2. – Così, in diritto amministrativo europeo, delle decisioni delle Istituzioni della Comunità prese nei suoi confronti la parte può chiedere l`annullamento per motivi d`illegittimità nel termine

di sessanta giorni da quando ne ha avuto conoscenza, mentre ad un

eguale termine non è soggetta l`azione per responsabilità delle Istituzioni comunitarie sul piano extracontrattuale.

La elaborazione giurisprudenziale di questo sistema – la cui ricostruzione, peraltro, appare alla dottrina italiana non sicura – sembra non escludere la possibilità che in sede di azione di danni si abbia un accertamento incidentale circa l`illegittimità dell`atto non impugnato, anche se registra un sicuro orientamento volto a negare il risarcimento almeno in un definito settore, in particolare quando la relazione controversa intercorre solo tra il ricorrente e la istituzione pubblica e la domanda di danni tende allo stesso risultato che si sarebbe potuto conseguire con l`azione di annullamento.

12.4.3. – Il diritto civile presenta, da noi, in campo societario una specifica disciplina della invalidità delle delibere delle società di capitali.

Dove è negata la legittimazione all`azione di annullamento ed è data l`azione di danni (art. 2377, quarto comma, cod. civ.), il termine per proporre la domanda di risarcimento non è diverso da quello dell`azione di impugnazione (art. 2377, sesto comma).

V è dunque, la specifica previsione di un termine di esercizio per l`azione di danno.

D`altro canto, il diritto societario prevede ipotesi, in cui non sì può pronunciare l`invalidità della delibera, ma la si può accertare in funzione della condanna al risarcimento del danno (artt. 2377 penultimo comma; 2379-ter secondo comma e 2504-quater secondo comma).

E` dunque la tutela demolitoria ad essere impedita – dalla sostituzione della delibera o dalla sua avvenuta esecuzione – non lo stesso accertamento dell`invalidità della delibera, in funzione della ammessa tutela risarcitoria.

12.4.4. – Nel campo del diritto del lavoro, ad una problematica di rapporti tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria, dà luogo la disciplina del licenziamento e della sua impugnazione (artt. 6 ed 8 della L. 15 luglio 1966, n. 604; 8 della L. 20 maggio 1970, n. 300).

L`orientamento della giurisprudenza al riguardo è nel senso che la mancata impugnazione del licenziamento nel termine fissato non comporta la liceità del recesso del datore di lavoro (Cass. 12 ottobre 2006 n. 21833).

L`inoppugnabilità preclude sì al lavoratore oltre alla tutela reale della reintegrazione nel posto di lavoro, di rivendicare tutela sul piano risarcitorio per il danno costituito ed originato dalla mancata percezione degli emolumenti altrimenti spettanti.

Ciò non toglie, però, che l`ingiustizia del licenziamento resta tale ed è perciò suscettibile di accertamento se si presenta come componente di una più ampia condotta lesiva, cioè quando ha concorso a provocare un danno, diverso da quello patrimoniale costituito dalla perdita degli emolumenti.

12.4.5. – Nei rapporti tra privati ed in materia contrattuale, la scelta tra i mezzi di reazione all`inadempimento – la condanna all`adempimento o la risoluzione del contratto – è lasciata alla parte che lo subisce, ma vige la regola di coordinamento per cui la prima non può essere più chiesta, quando lo è stata la seconda, mentre ad ambedue ed a loro completamento si accompagna la tutela risarcitoria, che tuttavia può essere esperita al posto delle altre (art. 1453 cod. civ.).

12.5.1. – Le situazioni qui considerate – non a caso desunte dal dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ferve sull`argomento – mostrano che, nel campo del diritto civile, rispetto ad uno schema generale di raccordo tra le tutele, rappresentato dalla soluzione offerta dell`art. 1453 cod. civ., soluzioni specifiche sono approntate in riferimento a rapporti, che vivono in un più complesso quadro organizzativo, e nei quali, siccome si considera prevalente l`esigenza di stabilità dello stato di fatto originato dall`atto, si tende a limitare nel tempo la sua invalidibilità, non escludendo la tutela risarcitoria.

Tecnica non ignota, ora, anche al diritto amministrativo (art. 246.4. del Codice dei contratti pubblici, il D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163).

12.5.2. – Appare dunque che la regolazione del rapporto, tra le forme di tutela che rendono possibile soddisfare l`interesse protetto e tutela risarcitoria dello stesso interesse, può essere attuata in modi diversi, che a loro volta riflettono da parte del legislatore la valutazione delle esigenze proprie di specifici tipi di rapporti, sicché a proposito di tale regolazione non si può affermare la necessità logica che riguardi nello stesso modo ogni concreta situazione di interesse riconducibile ad un medesimo schema tipico.

13.1. – Nelle ordinanze del 2006 le sezioni unite hanno osservato che è certo nella disponibilità del legislatore disciplinare la tutela delle situazioni soggettive assoggettando a termini di decadenza l`esercizio dell`azione, come si è visto quando ha assoggettato in campo societario al medesimo termine l`azione di impugnazione e quella di risarcimento spettante ai soci non legittimati all`esercizio della prima.

Ma si è anche osservato che una norma siffatta oggi manca.

13.2. – Si postula, però, che dall`art. 7, quarto comma, della legge TAR – quale è risultato dalle modificazioni, che vi sono state apportate, per il tramite dell`art. 35.4. del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, dall`art. 7 della L. 21 luglio 2000, n. 205 – si trae che il previo annullamento dell`atto impugnato costituisca presupposto del riconoscimento di un diritto al risarcimento.

Ciò, perché il risarcimento v`è detto eventuale ed è considerato quale oggetto di un diritto, che come specie rientra tra gli altri diritti patrimoniali consequenziali.

E perché, si potrebbe forse aggiungere, vi si dice che il tribunale conosce <di tutte le questioni relative al risarcimento del danno> e non – come in disposizioni dettate in tema di giurisdizione esclusiva – anche delle <controversie risarcitorie>.

Se non che, se il significato da attribuire alla disposizione fosse questo, la replica sarebbe allora che la norma ha tratto alla tutela risarcitoria che completa quella di annullamento e non alla tutela risarcitoria autonoma, che è oggetto dì discussione.

13.3. – Che la tutela risarcitoria autonoma rientri tra quelle che secondo l`ordinamento pertengono all`interesse legittimo deriva dalla natura sostanziale di tale situazione giuridica soggettiva e, se corrisponde alle viste esigenze di effettività della tutela giurisdizionale degli interessi che ad erogarla sia il giudice amministrativo, non può poi dipendere da questo che la fruizione concreta di tale tutela sia condizionata da un presupposto che attiene invece alla tutela di annullamento.

La tutela giurisdizionale si dimensiona su quella sostanziale e non viceversa.

13.4. – Anche là dove regole di comportamento si traducono in regole di validità dell`atto, la circostanza che la parte che potrebbe avere interesse all`annullamento dell`atto non lo chieda non comporta che esso divenga valido o cessi di essere rilevante la contrarietà del comportamento alla sua regola.

Nel diritto civile, la parte non perde il diritto di far valere l`invalidità se l`altra pretende l`esecuzione del contratto (art. 1442, quarto comma, cod. civ.) e d`altro canto può sempre chiedere il risarcimento del danno derivato dal comportamento che l`altra ha tenuto nell`indurla a contrarre.

Nel diritto amministrativo, l`inoppugnabilità non si traduce in convalidazione del provvedimento illegittimo, di cui resta possibile l`annullamento dall`amministrazione che lo ha emesso.

E perciò se, per non esserne stata chiesta la sospensione, l`atto non perde efficacia e può continuare ad essere eseguito, il comportamento tenuto, prima nell`adottarlo e poi nell`eseguirlo, non perde i suoi tratti di comportamento illegittimo, fonte di responsabilità, per il fatto che dell`atto neppure sia stato poi chiesto l`annullamento.

Lo stesso vale a proposito del comportamento consistito nel mantenere l`atto o nel darvi esecuzione per essere mancata la domanda di annullamento, anche se il non averlo la parte chiesto può rilevare come comportamento che ha concorso a provocare il danno.

Pensare diversamente significa trasformare l`onere della parte di attivarsi nel proprio interesse per l`annullamento in un dovere della parte di collaborare con l`amministrazione a renderla edotta della illegittimità dei propri atti.

Passando poi dal piano del diritto sostanziale a quello del diritto processuale, la pregiudizialità dell`annullamento non può essere desunta sul piano sistematico da caratteristiche che si dicono intrinseche alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto giudice cui è commessa rispetto agli interessi legittimi la tutela demolitoria.

Dal fatto che il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione generale di legittimità, non abbia il potere di dichiarare il dovuto modo d`essere del rapporto, ma solo quello di accertare la illegittimità dell`atto ed annullarlo, sì che è all`amministrazione che torna a spettare di dover provvedere (peraltro nel rispetto dell`effetto conformativo della pronuncia di annullamento), non segue che non possa accertare la responsabilità derivante alla P.A. dall`esercizio illegittimo della funzione.

Oggetto della domanda di risarcimento del danno è il diritto a ad ottenerlo e su ciò si forma il giudicato, mentre l`accertamento sui singoli aspetti della situazione di fatto che genera la responsabilità sono accertati in via incidentale.

Quando si discute sul se spetti il diritto al risarcimento del danno, per pervenire a riconoscerlo, si deve accertare che la parte ha subito un danno per effetto della mancata realizzazione del suo interesse e questo a causa dell`esercizio illegittimo della funzione pubblica e dunque si esercita un potere che nulla ha a che vedere con quello di disapplicazione, che al contrario consiste nel tenere per non prodotti quegli effetti di un atto, che rilevano come presupposto della legittimità del provvedimento, esso oggetto della domanda di annullamento.

13.5. – La teoria della pregiudizialità affonda del resto la sua origine in presupposti che l`attuale stadio di evoluzione della tutela giurisdizionale degli interessi mostra non essere più riferibili all`intero spettro di questa.

Più indici normativi testimoniano della trasformazione in atto dello stesso giudizio sulla domanda di annullamento, da giudizio sul provvedimento in giudizio sul rapporto: ciò che è stato puntualmente messo in rilievo dalla dottrina, in riferimento all`impugnazione, con motivi aggiunti, dei provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all`oggetto del ricorso (art. 21, primo comma, legge TAR, modificato dall`art. 1 della legge 205 del 2000); al potere del giudice di negare l`annullamento dell`atto impugnato per vizi di violazione di norme sul procedimento, quando giudichi palese, per la natura vincolata del provvedimento, che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (art. 21-octies, comma 1, della legge 241 del 1990, introdotto dall`art. 21-bis della L. 11 febbraio 2005, n. 15); al potere del giudice amministrativo di conoscere della fondatezza dell`istanza nei casi di silenzio (art. 2, comma 5, della L. 241 del 1990, come modificato dalla L. 14 maggio 2005, n. 80 in sede di conversione del D. L. 14 marzo 2005, n. 35.

13.6. – Non mancano poi i casi in cui l`annullamento non è in grado di procurare alcuna soddisfazione all`interesse protetto, perché era in giuoco il solo interesse del ricorrente ed è trascorso il tempo in cui avrebbe potuto esserlo: ed allora, per ammettere il ricorso, si è costretti a postulare un interesse all`annullamento, perché questo sarebbe il tramite necessario per accedere ad una pronuncia di condanna al risarcimento del danno.

Come non mancano i casi in cui il danno deriva non dall`atto, infine adottato in senso conforme all`interesse di chi lo ha richiesto, ma dal ritardo con cui è stato emesso.

14. – Si può dire in definitiva – nel solco delle ordinanze del 2006 – che la parte, titolare d`una situazione di interesse legittimo, se pretende che questa sia rimasta sacrificata da un esercizio illegittimo della funzione amministrativa, ha diritto di scegliere tra fare ricorso alla tutela risarcitoria anziché a quella demolitoria e che tra i presupposti di tale forma di tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo non è quello che l`atto in cui la funzione si è concretata sia stato previamente annullato in sede giurisdizionale o amministrativa.

Il principio di diritto che ne discende e che le sezioni unite enunciano in applicazione dell`art. 363 cod. proc. civ. è dunque questo: – “Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall`esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l`illegittimità dell`atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento”.

15. – Le spese di questo grado del giudizio si prestano ad essere dichiarate interamente compensate in ragione dell`eguale negativo esito dei ricorsi proposti dalle due parti.

P.Q.M.

La Corte di cassazione, a sezioni unite, riuniti i ricorsi, rigetta l`incidentale e dichiara inammissibile il principale; pronuncia, ai sensi dell`art. 363 cod. proc. civ., il seguente principio di diritto: – “Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall`esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l`illegittimità dell`atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento; compensa le spese del giudizio di cassazione.




Corte Costituzionale  Sentenza 11 maggio 2006 numero 191


……omissis
                                   Considerato in diritto

Entrambe le ordinanze – emesse nel corso di giudizi nei quali era stata proposta domanda di risarcimento dei danni per avere subìto, il fondo di proprietà dei ricorrenti, radicali trasformazioni durante il periodo di occupazione disposta per la realizzazione di un’opera pubblica senza che fosse intervenuto il decreto di esproprio – osservano che l’art. 53, comma 1, prevede la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie aventi ad oggetto (anche) «i comportamenti» delle pubbliche amministrazioni, e cioè la medesima ipotesi che questa Corte – con la sentenza n. 204 del 2004 – ha espunto, ritenendola costituzionalmente illegittima, dall’art. 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito dall’art. 7, comma 1, lettera b), della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa).

L’ordinanza n. 36 del 2005 precisa che il dubbio circa la conformità a Costituzione della norma de qua non avrebbe ragion d’essere ove la dichiarazione di pubblica utilità ed urgenza fosse stata pronunciata dopo l’entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001 (e cioè dopo il 30 giugno 2003: art. 1 del decreto legislativo n. 302 del 2002), dal momento che in tal caso opererebbe (ex art. 57 del d.P.R. n. 327, come modificato dal citato art. 1 del decreto legislativo n. 302 del 2002) anche l’art. 43 del medesimo d.P.R., il quale attribuisce alla pubblica amministrazione il potere (certamente sindacabile dal giudice amministrativo) di acquisire l’immobile, «modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità», al patrimonio indisponibile con «condanna al risarcimento del danno e con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo»; poiché nel caso sottoposto al suo esame la dichiarazione di pubblica utilità è intervenuta «ben prima del 30 giugno 2003», la previsione (che sarebbe certamente di diritto sostanziale) dell’art. 43 non potrebbe operare e, pertanto, ci si troverebbe in una situazione perfettamente analoga a quella che era disciplinata dall’art. 34 (dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 204 del 2004), del quale l’art. 53, comma 1, riproduce (aggiungendovi soltanto «gli accordi») il contenuto.

2.– Va rilevato che mentre una ordinanza (n. 425 del 2005) vede nella dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, una sorta di completamento di quanto, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, già con la sentenza n. 204 del 2004 questa Corte avrebbe potuto fare; l’altra (n. 36 del 2005) osserva che il mancato utilizzo da parte della Corte dello strumento della dichiarazione consequenziale di illegittimità costituzionale si giustificherebbe per il collegamento, sopra ricordato, della previsione di cui all’art. 53, comma 1, con quella di cui all’art. 43: sicché, ove tale collegamento ratione temporis non operi, il riferimento ai “comportamenti” dovrebbe essere cassato come lo fu quello contenuto nell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998.

Ne discende che il petitum delle due ordinanze diverge in ciò, che l’una (n. 425) sollecita una pronuncia che definitivamente espunga dalla norma censurata la locuzione “i comportamenti”, mentre l’altra (n. 36) chiede che la Corte ciò faccia relativamente ai giudizi nei quali non potrebbe trovare applicazione la norma (ritenuta) di diritto sostanziale (art. 43), che, sola, giustifica la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in quanto contempla un potere della pubblica amministrazione sindacabile da parte di quel giudice.

3.– Questa Corte, con la sentenza n. 204 del 2004, ha giudicato di questioni di legittimità costituzionale che investivano, da un lato, l’art. 33 (relativo ai pubblici servizi) e, dall’altro, l’art. 34 (relativo all’edilizia ed urbanistica) del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall’art. 7 (lettere a e b) della legge n. 205 del 2000, in quanto con tali norme il legislatore aveva «sostituito al criterio di riparto della giurisdizione fissato in Costituzione, e costituito dalla dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi, il diverso criterio dei “blocchi di materie”» (punto 2.1. del Considerato in diritto).

La Corte ha osservato che le censure mosse dai giudici rimettenti «colgono nel segno nella parte in cui denunciano l’adozione, da parte del legislatore ordinario del 1998-2000, di un’idea di giurisdizione esclusiva ancorata alla pura e semplice presenza, in un certo settore dell’ordinamento, di un rilevante pubblico interesse», laddove «è evidente che il vigente art. 103, primo comma, Cost., non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari materie” nelle quali “la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” investe “anche” diritti soggettivi». «Tale necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso dall’art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo», sicché, «da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo […] e, dall’altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo» (punto 3.2.).

Sulla base di tali premesse, questa Corte – dopo aver distinto nell’ambito dell’art. 33 le ipotesi in cui la materia dei servizi pubblici era legittimamente devoluta al giudice amministrativo in quanto «la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo» da quelle prive di tale connotato (punto 3.4.2.) – ha osservato che «analoghi rilievi investono la nuova formulazione dell’art. 34», la quale «si pone in contrasto con la Costituzione nella parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva – oltre “gli atti e i provvedimenti” attraverso i quali le pubbliche amministrazioni […] svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia – anche “i comportamenti”, la estende a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere» (punto 4.3.3. del Considerato in diritto).

3.1.– Discende, dalla sommaria esposizione dell’iter argomentativo seguito dalla sentenza n. 204 del 2004, che non è corretta la premessa dalla quale implicitamente muovono entrambe le ordinanze di rimessione, e cioè che, avendo questa Corte espunto dalla disposizione di cui all’art. 34 la locuzione “i comportamenti”, tale espunzione non possa non estendersi all’identica locuzione impiegata nell’art. 53, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001.

Tale tesi, infatti, si fonda esclusivamente sulla circostanza che, con il suo dispositivo, la sentenza n. 204 del 2004 ha inciso sul testo dell’art. 34, ma trascura del tutto non soltanto la motivazione che è alla base di quel dispositivo, ma anche, e soprattutto, la valenza che la locuzione espunta aveva, specie in relazione alla questione di legittimità costituzionale allora sottoposta alla Corte, nella disposizione dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998.

Ed infatti, nell’affrontare la questione del se fosse costituzionalmente legittimo devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “blocchi di materie” ed in particolare l’intera “materia urbanistica ed edilizia” (comprensiva, la prima, di “tutti gli aspetti dell’uso del territorio”), questa Corte ha ravvisato – come risulta dalla motivazione della sentenza – nella locuzione “i comportamenti” lo strumento utilizzato dal legislatore per operare l’indiscriminata devoluzione che si andava a censurare: sicché l’espunzione di tale locuzione, per la funzione “di chiusura” assegnatale dal legislatore nell’art. 34, valeva a ribadire che la “materia edilizia ed urbanistica” non poteva essere devoluta “in blocco” alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma poteva esserlo nei limiti precisati nella motivazione.

3.2.– La questione di legittimità costituzionale sulla quale questa Corte è ora chiamata a pronunciarsi investe (non più la pretesa del legislatore ordinario di attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “in blocco” la materia edilizia ed urbanistica, ma) specificamente la conformità a Costituzione – e, segnatamente, agli artt. 25, 102, comma secondo, e 103 – della norma che, in tema di espropriazione per pubblica utilità, devolve «alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto», oltre che «gli atti, i provvedimenti, gli accordi», anche «i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati»; questione che, per quanto si è fin qui osservato, non può essere risolta attraverso la semplice e meccanica estensione a questa disposizione dell’espunzione (solo perché, allora, operata) della locuzione de qua dall’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998.

Va, altresì, precisato che, non essendo implausibile la tesi per cui l’art. 53, in quanto norma processuale (e non anche l’art. 43, in quanto norma di diritto sostanziale), troverebbe applicazione nei giudizi aventi ad oggetto fattispecie non governate, quanto al diritto sostanziale, dal d.P.R. n. 327 del 2001, la questione di legittimità costituzionale ora all’esame della Corte concerne l’art. 53, comma 1, esclusivamente nella sua valenza di norma attributiva della giurisdizione al giudice amministrativo, e pertanto senza che in alcun modo possa esserne coinvolta la norma nella parte in cui – essendo applicabile l’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001 – presuppone la possibilità che sia sindacato dal giudice amministrativo l’esercizio, da parte della pubblica amministrazione, del potere di acquisire al suo patrimonio indisponibile l’immobile modificato.

Peraltro la questione sollevata è rilevante nei giudizi a quibus perché, non essendo implausibile la tesi dell’immediata applicabilità dell’art. 53, comma 1, quale norma processuale (specie a giudizi incardinati nella vigenza dell’art. 34 del d. lgs. n. 80 del 1998, come modificato dalla legge n. 205 del 2000) e pendendo la causa davanti al giudice amministrativo, l’eventuale carenza di sua giurisdizione a norma dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 – a seguito dell’espunzione della locuzione “i comportamenti” operata da questa Corte – legittimerebbe (ex art. 5 del codice di procedura civile) una pronuncia declinatoria della giurisdizione solo ove fosse dichiarata costituzionalmente illegittima la disposizione dell’art. 53, comma 1, che ex novo rende il giudice amministrativo munito di giurisdizione: se è vero, infatti, che la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, è anche vero che il sopravvenire della giurisdizione in capo al giudice che originariamente ne era (o ne era divenuto) sfornito impedisce – per pacifica giurisprudenza – la pronuncia declinatoria.

4.– Le questioni sono fondate nei limiti di seguito precisati.

4.1.– Entrambe le fattispecie oggetto dei giudizi a quibus sono riconducibili alle ipotesi tradizionalmente denominate (in giurisprudenza e dottrina) di occupazione appropriativa (ovvero, anche, di accessione invertita o espropriazione sostanziale): il che si verifica quando il fondo è stato occupato a seguito di dichiarazione di pubblica utilità, e pertanto nell’ambito di una procedura di espropriazione, ed ha subìto una irreversibile trasformazione in esecuzione dell’opera di pubblica utilità senza che, tuttavia, sia intervenuto il decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l’effetto traslativo della proprietà.

Tale fenomeno viene contrapposto a quello cosiddetto di occupazione usurpativa, caratterizzato dall’apprensione del fondo altrui in carenza di titolo: carenza universalmente ravvisata nell’ipotesi di assenza ab initio della dichiarazione di pubblica utilità, e da taluni anche nell’ipotesi di annullamento, con efficacia ex tunc, della dichiarazione inizialmente esistente ovvero di sua inefficacia per inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione dell’opera pubblica.

Nel caso dell’occupazione appropriativa, perfezionandosi con l’irreversibile trasformazione del fondo la traslazione in capo all’amministrazione del diritto di proprietà, il proprietario del fondo non può che chiedere la tutela per equivalente, laddove, nel caso dell’occupazione usurpativa (rectius: nelle ipotesi – in relazione a taluna delle quali non v’è unanimità di consensi – ad essa riconducibili) il proprietario può scegliere tra la restituzione del bene e, ove a questa rinunci così determinando il prodursi (dei presupposti) dell’effetto traslativo, la tutela per equivalente.

4.2.– È evidente che la soluzione della questione di legittimità costituzionale in esame non può che muovere da quanto questa Corte, con la più volte citata sentenza n. 204 del 2004, ha statuito riguardo all’art. 35 (come modificato dall’art. 7, lettera c, della legge n. 205 del 2000) del d.lgs. n. 80 del 1998; statuizione, va precisato, e non già obiter dictum, in quanto la Corte – investita della questione di legittimità costituzionale della devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dei “blocchi di materie” relative ai servizi pubblici ed all’edilizia ed urbanistica e del potere, altresì, di giudicare di azioni risarcitorie riconosciutogli come attributo della giurisdizione esclusiva – non poteva non considerare, quanto meno con riferimento al disposto dell’art. 35, comma 1, se anche la tutela risarcitoria fosse configurabile come una “materia” devoluta in blocco alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

In proposito questa Corte ha statuito che «il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova “materia” attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione».

4.3.– I principi appena ricordati impongono di escludere che, per ciò solo che la domanda proposta dal cittadino abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno, la giurisdizione competa al giudice ordinario: ciò dicendo non intende questa Corte prendere posizione sul tema della natura della situazione soggettiva sottesa alla pretesa risarcitoria, ovvero sulla natura (di norma secondaria, id est sanzionatoria di condotte aliunde vietate, oppure primaria) dell’art. 2043 cod. civ., ma esclusivamente ribadire che laddove la legge – come fa l’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998 – costruisce il risarcimento del danno, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, come strumento di tutela affermandone – come è stato detto – il carattere “rimediale”, essa non viola alcun precetto costituzionale e, anzi, costituisce attuazione del precetto dell’art. 24 Cost. laddove questo esige che la tutela giurisdizionale sia effettiva e sia resa in tempi ragionevoli.

In altri termini, al precedente sistema che, in considerazione della natura intrinseca di diritto soggettivo della situazione giuridica conseguente all’annullamento del provvedimento amministrativo, attribuiva al giudice ordinario «le controversie sul risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi» (così l’art. 35, comma 5, del d. lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall’art. 7, lettera c della legge n. 205 del 2000), il legislatore ha sostituito (appunto con l’art. 35 cit.) un sistema che riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi anche il potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma specifica, il danno sofferto per l’illegittimo esercizio della funzione.

Da ciò consegue che, ai fini del riparto di giurisdizione, è irrilevante la circostanza che la pretesa risarcitoria abbia – come si ritiene da alcuni –, o non abbia, intrinseca natura di diritto soggettivo: avendo la legge, a questi fini, inequivocabilmente privilegiato la considerazione della situazione soggettiva incisa dall’illegittimo esercizio della funzione amministrativa, a questa Corte competeva (e compete) solo di valutare se tale scelta del legislatore – di collegare, cioè, quanto all’attribuzione della giurisdizione, la tutela risarcitoria a quella della situazione soggettiva incisa dal provvedimento amministrativo illegittimo – confligga, o non, con norme costituzionali; ciò che, con la più volte ricordata sentenza n. 204 del 2004, questa Corte ha escluso.

5.– Le considerazioni fin qui esposte rendono palese che la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle ordinanze de quibus non può risolversi in base al solo petitum, id est alla domanda di risarcimento del danno, bensì considerando il fatto, dedotto a fondamento della domanda, che si assume causativo del danno ingiusto.

Con espressione ellittica l’art. 53, comma 1, individua (anche) nei “comportamenti” della pubblica amministrazione il fatto causativo del danno ingiusto, in parte qua riproducendo il contenuto dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 (come modificato dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000).

Tale previsione è costituzionalmente illegittima là dove la locuzione, prescindendo da ogni qualificazione di tali “comportamenti”, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie nelle quali sia parte – e per ciò solo che essa è parte – la pubblica amministrazione, e cioè fa del giudice amministrativo il giudice dell’amministrazione piuttosto che l’organo di garanzia della giustizia nell’amministrazione (art. 100 Cost.).

Viceversa, nelle ipotesi in cui i “comportamenti” causativi di danno ingiusto – e cioè, nella specie, la realizzazione dell’opera – costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere dell’amministrazione, la norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali “comportamenti” esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione.

In sintesi, i principi sopra esposti – peraltro già enunciati da questa Corte con la sentenza n. 204 del 2004 – comportano che deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a “comportamenti” (di impossessamento del bene altrui) collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di “comportamenti” posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto.

L’attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo della tutela risarcitoria – non a caso con la medesima ampiezza, e cioè sia per equivalente sia in forma specifica, che davanti al giudice ordinario, e con la previsione di mezzi istruttori, in primis la consulenza tecnica, schiettamente “civilistici” (art. 35, comma 3) – si fonda sull’esigenza, coerente con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica (così Corte di cassazione, sez. un., 22 luglio 1999, n. 500 ), ma non si giustifica quando la pubblica amministrazione non abbia in concreto esercitato, nemmeno mediatamente, il potere che la legge le attribuisce per la cura dell’interesse pubblico.

P.Q.M.
 
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo B), trasfuso nell’art. 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A), nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a «i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere.

Avv.Giuseppe Tarditi

Per un approfondimento teorico dell’argomento v.:

Conflitto tra Consiglio di Stato e Cassazione: il risarcimento del danno da interesse legittimo