Freud ed il concetto di tempo

Freud cercava di attingere al passato per capire la nevrosi dei suoi pazienti. “Nella mia ricerca delle situazioni patogene…in cui i sintomi ebbero origine, fui condotto sempre più indietro nella vita del paziente e finii col pervenire ai primi cinque anni della sua infanzia”, in quanto “lasciavano tracce inestirpabili”. Queste avrebbero costituito, successivamente, il materiale di costruzione della personalità del soggetto in esame. Come osserva lo storico Kern, Freud recò diversi contributi al pensiero sull’ incidenza del passato.

La continuazione del passato nel presente, da cui viene inglobato, secondo la concezione di “durata”, elaborata da Bergson si inquadra nel clima culturale del periodo in questione, ovvero il lasso di tempo che intercorre dalla seconda metà dell’ ottocento alla prima metà del novecento. Più di quanto fosse accaduto in precedenza vi era una propensione in favore del passato, sia da parte di coloro che sostenevano che il passato avesse un effetto positivo, in quanto fonte di libertà e di identità, che da parte di coloro che lo esaminavano criticamente come giustificazione dell’inattività propria del periodo.

A portare il passato dentro il presente furono anche due invenzioni che cambiarono il modo in cui gli uomini esperivano il loro passato personale e collettivo: il fonografo, inventato da Edison nel 1887, e la macchina fotografica. Nell’ “Ulisse” Joyce riflette sull’ uso del fonografo “che rendeva possibile all’ uomo parlare in avanti nel tempo a chi ascolta all’ indietro”. Non a caso proprio in questo periodo si moltiplicavano gli studi sulla memoria, sul ruolo dell’infanzia e del passato: da qui nasce la psicoanalisi.

Freud sostenne che “il passato più lontano, quello della nostra prima infanzia, è il più importante; che i ricordi più importanti sono regressi e non semplicemente dimenticati; che tutti i sogni e le nevrosi hanno la loro origine  nell‘ infanzia e che tutte le esperienze lasciano qualche traccia durevole nella memoria”.

La più provocatoria, forse, fu l’idea che “tutte le impressioni sono conservate, non solo nella stessa forma in cui vennero recepite la prima volta, ma anche in tutte le forme che hanno assunto nei loro sviluppi futuri”.

Bisogna però notare che, a differenza di Bergson, Freud non identifica la psiche con la sola coscienza, in quanto una parte della vita psichica si svolge nella sfera dell’inconscio. Oltre ai concetti di cui siamo coscienti vi sono, infatti, per Freud altri “concetti latenti”, inconsci, che trovano la loro genesi in eventi od in situazioni della vita passata  e rimangono tali perché la coscienza esprime repulsione nei loro confronti. Sono i cosiddetti “lapsus freudiani”, di cui Freud tratta ampiamente nel libro “Psicopatologia della Vita Quotidiana”.

Anche ne “La Coscienza di Zeno” di Svevo si riscontrano taluni influssi ed echi della teoria psicoanalitica. Per esempio, in occasione del funerale di Guido Speier, il protagonista Zeno, pur intenzionato a partecipare alla cerimonia, sbaglia corteo funebre. In questa circostanza si intravede galleggiare ancora fra le righe l’inconscio, in cui sopravvive sul piano irrazionale il passato di Zeno, che mostra i suoi veri sentimenti di rifiuto nei confronti del rivale Guido.

Per Freud la coscienza è, sovente, una “razionalizzazione” e un “mascheramento” di motivi profondi. Egli ricondusse questi motivi alle primitive pulsioni della vita infantile, ai suoi bisogni primari, sostanzialmente egoistici. Questi bisogni si scontrano con le regole educativo-sociali del mondo adulto ed il loro carattere più apertamente egoistico viene rimosso e trasformato dalla coscienza. Tuttavia dal luogo inconscio della sua rimozione il rimosso continua ad esercitare un condizionamento inavvertito sul soggetto cosciente.


Eros Tarditi