Europa: bisogna incominciare da capo

Senza voler ripercorrere in questa sede le tappe storiche dello sfortunato percorso per la realizzazione dell’Unione in Europa, basta ricordare che con il trattato di Maastricht del 1992 furono fissate le linee comuni per un’unione economica.

E’ stato questo l’inizio della crisi del progetto di integrazione europea, in quanto non si può avviare una vera unione tra vari stati senza che la componente economica sia supportata da una prospettiva politica alimentata da valori condivisibili e da forti idee portanti e senza una riflessione sulla opportunità di costruire un’entità astratta sulla base di un sistema di norme oppure costruire una confederazione di stati sotto la direzione di un governo centrale.
E’ legittimo perciò chiedersi come l’istituzione europea, l’unica storicamente ad essere nata solo come un’unione monetaria, possa trasformarsi in tempi ravvicinati in un complesso sovranazionale o in una federazione di stati. Non esiste infatti un consenso ed una partecipazione dei cittadini e soprattutto non esiste un sentimento di appartenenza ad una comunità che vada oltre i confini nazionali.
Dove è finita quell’idea di pace che fu la spinta iniziale alla costruzione di un’unità europea?
La pace, infatti, la sicurezza dei popoli, soprattutto ora di fronte alle incognite della globalizzazione, la difesa di un patrimonio storico che affonda le sue radici in un lontano e comune spirito cristiano-umanistico ed in una cultura filosofica comune (basti pensare all’ illuminismo, al romanticismo, al positivismo), potrebbero favorire in Europa quel comune sentire, che è la premessa essenziale per l’ individuazione e la difesa di una politica e di obbiettivi comuni.
In assenza di questi presupposti da parte dell’opinione pubblica si avverte una sorta di indifferenza o addirittura di ostilità verso il processo dell’ unione europea. Non si tratta di sottili incrinature o meglio di uno “stop and go” simile a quelli che anche in passato hanno caratterizzato la storia del processo di unificazione europea, o di “pericolose nostalgie nazionalistiche”, ma di fondati timori in un clima di profonda confusione ed incertezza politica, favorito anche dalla paura che la costruzione di un super stato possa annullare le singole individualità nazionali o limitarne la libertà, contrariamente a quello spirito unitario che caratterizzò l’impero romano.
Questo senso di estraniazione dal processo europeo è alimentato soprattutto da un deficit democratico. Infatti per la prevalenza in Europa del principio del diritto comunitario nei confronti del diritto interno degli stati, l’organo europeo predominante, il Consiglio dei Ministri, costituto dai Ministri dei singoli Stati, con le sue delibere ha inciso sugli ordinamenti giuridici degli stati membri, bypassando i Parlamenti nazionali. Le stesse prerogative che sono state sottratte ai parlamenti nazionali, a livello europeo non sono state riservate all’ organo di rappresentanza popolare, cioè al Parlamento, ma sono diventate appannaggio dei governi nazionali, in seno al Consiglio dei Ministri.
E’ vero che con la procedura di co-decisione il Parlamento Europeo ha assunto un ruolo determinante nell’ esercizio del potere legislativo assieme al Consiglio dei Ministri, in una specie di ordinamento bicamerale, in cui quest’ultimo funziona quasi come una Camera degli Stati, ma ciò non basta per colmare il deficit democratico dell’ Europa sul piano sostanziale. Il processo di integrazione europea infatti non può avvenire solo attraverso trattative fatte tra organi intergovernativi, ma perché diventi una realtà concreta non deve prescindere dal consenso e dal coinvolgimento dei cittadini che oggi è praticamente inesistente.
Non esiste infatti ancora un substrato popolare unico come base di questa Unione, in quanto oggi essa è un insieme di demoi che cedono parte della loro sovranità per fini comuni condivisi. E’ mancata in questi anni infatti una cultura politica che abbia fatto emergere i punti di convergenza dei vari paesi membri in una prospettiva di ricerca di valori comuni condivisibili e nel rispetto delle varie individualità e della tradizione culturale- religiosa di ciascun popolo, per poter poi individuare obbiettivi comuni perseguibili e per poter convogliare le singole forze verso la loro più completa concretizzazione.
La stessa elezione diretta del Parlamento Europeo, come dimostrano anche le ultime elezioni, si risolve più in una valutazione dell’operato dei singoli governi sul piano nazionale, che in un confronto di idee e di valori sul piano europeo.

Dott. Emanuele Tarditi